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Chen, il vigile “cinese”. «Tutti mi chiamano Alessandro, sono italiano al cento per cento»

Parla il primo agente di Polizia locale nato in Italia da genitori provenienti dalla Cina. Prenderà servizio nelle prossime settimane a Venezia

Francesco Furlan
Aggiornato alle 2 minuti di lettura

Yijun Alessandro Chen, 24 anni, sarà il primo vigile urbano di origine cinese a Venezia

 

Spero di fare da apripista. Di essere un punto di riferimento per altri ragazzi che vogliano intraprendere questa carriera. Yijun Alessandro Chen, 24 anni, è vigile urbano a Caorle e a breve sarà il primo vigile urbano italo-cinese a Venezia. Lui però invita alla cautela, più per scaramanzia che per altro. «In graduatoria sono arrivato secondo, devo passare gli ultimi test psico-attitudinali, speriamo bene».

Chen, lei a 24 anni è uno dei primi vigili urbani italo-cinesi in Italia. Che effetto le fa?

«Mi sento orgoglioso, sia per essere uno dei primi vigili urbani italo-cinesi che per il mestiere in sé. Mi piace molto, è d’aiuto alle altre persone.

Io mi sento un agente operativo, personalmente sono interessato agli aspetti che riguardano la sicurezza urbana. E poi credo che un agente italo-cinese della polizia locale possa aiutare anche la comunità cinesi ad aprirsi. In alcuni casi sono un po’ chiuse».

Chi è Yijun Alessandro Chen?

«Il mio nome racconta giò molto. Sono nato in Italia, a Mestre. Ma poi sono tornato in Cina, nella provincia dello Zhejiang, a vivere con i nonni per alcuni anni. Accade spesso nelle famiglie cinesi: un po’ perché così i bambini imparano il cinese crescendo con i nonni, un po’ perché i genitori nel frattempo devono lavorare e sono molto impegnati.

Sono tornato in Italia per frequentare la scuola elementare, a Spinea. Poi mi sono trasferito a Cavarzere, mi sono diplomato all’istituto alberghiero di Adria. Ora abito a Mestre.

E da due anni faccio il vigile urbano a Caorle. All’anagrafe sono solo Yijun Chen, anche se tutti i miei amici italiani mi conoscono con il nome di Alessandro. Mi sarebbe piaciuto inserirlo ufficialmente nei documenti, chiedendo una modifica, ma è un percorso molto complicato».

Come si è avvicinato alla polizia locale?

«Sono sempre stato affascinato dalla divisa. Ma da ragazzo non conoscevo bene la polizia locale e i suoi compiti. Mi ci sono avvicinato grazie a un corso di formazione organizzato dalla Cisl che mi ha permesso di capire chi sono gi agenti della polizia locale, quali sono i loro ruoli.

Lì ho capito che mi sarebbe piaciuto indossare la divisa della polizia locale. Però c’era il problema della cittadinanza».

Lei adesso è un cittadino italiano.

«Sì ma ci sono voluti circa 4 anni, da quando ho presentato la domanda, per diventare italiano. Sono nato in Italia da cittadini cinesi. Poi sono tornato in Cina per alcuni anni. All’inizio mi era stato detto che, raggiunti i 18 anni, avrei potuto presentare la domanda ma, poiché avevo un “buco” negli anni di residenza in Italia, proprio perché da piccolo ero stato per alcuni anni in Cina, non è andata così.

E ho dovuto presentare la domanda dimostrando di avere 10 anni di residenza continuativa in Italia. Dopo 4 anni mi è stata concessa.

La cittadinanza mi è arrivata due mesi dopo il bando del Comune di Venezia che cercava nuovi vigili. E quindi non sono riuscito a partecipare. Pochi mesi dopo è uscito a Caorle. Ho lavorato prima come stagionale, e poi sono stato assunto».

Ha svolto altre professioni prima di diventare vigile urbano?

«Ho lavorato in vari bar e ristoranti o comunque sempre nel settore della ristorazione, coerente con il diploma all’istituto alberghiero».

Che reazione hanno le persone che si trovano di fronte a un vigile urbano italo-cinese?

«Sono quasi tutti stupiti e sorpresi. Credo sia abbastanza normale, non ci sono molti vigili urbani italo-cinesi in Italia. Anche i turisti fanno una faccia un po’ strana. Non credo sia razzismo, è normale che ci sia curiosità.

I turisti cinesi invece sono piacevolmente sorpresi. Quando ci saranno più vigili urbani italo-cinesi la mia presenza non sarà più una novità. Spero di essere un esempio per molti altri giovani interessati a indossare una divisa». —

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