Cercasi personale disperatamente. A Mestre locali costretti a ridurre gli orari
In città c’è carenza di cuochi, baristi e camerieri. I titolari: «Trovare è difficilissimo, tutti vogliono il part time»
Marta Artico
Camerieri di sala, baristi, pasticceri, cuochi, con e senza esperienza. Anche a Mestre trovare personale è un’impresa. Ci sono locali che hanno dovuto mettere a lavorare ex titolari, chi ha assoldato parenti, fidanzate, mogli.
E quando ci si è abituati a farsi fare un cappuccino come lo vogliamo, improvvisamente cambia il volto a cui eravamo abituati. E si deve ricominciare daccapo. Il turnover è altissimo.
Emanuele Busetto gestisce l’osteria Lupo Nero a due passi dal Multisala e il McOnor Pub di piazza Ferretto. Quest’ultimo dall’estate scorsa non riesce a tenere aperto a pranzo, perché manca un cuoco. Che non si trova.
«Al Lupo nero per fortuna siamo praticamente a posto, anche se dovremmo prendere una persona extra», spiega, «ma trovare è un’impresa. Arrivano solo giovani studenti, che vogliono fare qualche ora, perché giustamente studiano.
Gente brava, con esperienza, non ce n’è. E poi le richieste sono sempre quelle, no fine settimana eccetera. Al Mc Onor ci manca una persona in sala e soprattutto un cuoco, ne abbiamo due e siamo senza il terzo e lavorando sette giorni su sette non possiamo aprire a pranzo se non lo troviamo».
Perché da rispettare ci sono turni, orari, risposi. Ma sta arrivando la stagione estiva, i turisti aumentano e l’economia legata alle città storiche è tornata a girare. «Ho chiesto anche all’Istituto Berna, ma niente. Insomma, sento i colleghi e ci troviamo un po’ tutti nella stessa situazione, assumere una persona preparata è molto difficile».
«Non troviamo nessuno», spiega Francesco Angelica dell’omonima pasticceria di galleria Barcella, «ho messo annunci sui social, da Facebook a Instagram, sulle pagine di ricerca lavoro, ho ricevuto dieci curriculum: otto da scartare e gli altri volevano solo part time. Ho avuto un colloquio con una ragazza che, ancora prima della prova, mi ha chiesto di conoscere il livello che le avrei dato, il resto non vuole lavorare il fine settimana né accetta l’orario spezzato, che in pasticcerie è normale.
Non c’è nessuno che vuole lavorare. Se hai bisogno non guardi gli orari, io faccio lo spezzato da 15 anni. In conclusione: orario spezzato no, fine settimana no, quarto livello. Cercano di lavorare poco e guadagnare tanto. Ma la gavetta va fatta, anche io come tutti sono partito da zero».
«Una volta attaccavi un cartello e arrivavano come il miele», commenta Massimiliano Bruni dell’Antica Pasticceria Marini. «Adesso non arriva nessuno. Bisogna tenersi stretti i propri dipendenti, se sono bravi».
Nessuno si sta spiegare il motivo e il reddito di cittadinanza non fornisce una risposta che tenga conto di tutte le sfaccettature sul tappeto.
«Forse le persone hanno iniziato a cambiare mentalità, il nostro è un lavoro impegnativo perché non c’è domenica, non c’è sabato, non c’è festa che tenga. E se hai un locale in piazza, deve tenere sempre aperto. Il contratto di pubblici esercizi ristorazione e turismo è quello, ma chi arriva vuole il turno unico, niente spezzato, part-time».
E conviene? «No. Al datore di lavoro non conviene il part time, forse se ci fosse un cuneo fiscale minore e non dovessi pagare il doppio di quello che pago. Ho 18 dipendenti, ma alla fine ce li rubiamo tra noi».
Dalle pasticcerie si passa alle gelatiere. A cercare personale è anche Mattia Doria: «Cerchiamo per la stagione, come ogni anno, stanno da noi per qualche tempo, poi preferiscono dei lavori più stabili».
Andrea Carcanella di Art&Food gestisce la ristorazione della Biennale, il Bistro “de Mar” al Lido, il food & beverage di San Servolo, i vari Petit e Bistrot tra Mestre e Mirano, e ha un addetto solo alle assunzioni e selezione personale.
«La ricerca è difficile, non so se la difficoltà più grande sia legata al nostro o anche ad altri settori. Purtroppo in questo campo non c’è una grande retribuzione e ciò non incentiva. Mediamente si guadagnano 1.500 euro al mese, ma il fatto è che noi lavoravamo per vivere, i ragazzi oggi pensano a vivere e lavorare quel che serve, danno la precedenza alla vita. Inoltre vorrebbero più soldi rispetto al lavoro, orario dal lunedì al venerdì e le sere libere».
«Faccio formazione all’istituto Berna e noto che molti assorbono le lamentele degli adulti, non vogliono replicare il loro modello, se il padre ha mal di schiena a 40 anni perché se l’è spaccata lavorando, loro temono accada la stessa cosa e se ne guardano, è un cambio di mentalità».
«La verità è che in busta paga dovrebbe rimanere di più, perché il costo della vita è aumentato, un imprenditore non farebbe difficoltà, ma di questi tempi andare in utile è molto difficile».
Di più: «Oggi il lavoro si trova, anche fisso, quindi si cerca il posto giusto, che è un’altra cosa. Il fatto è che in un’Italia che vive di turismo, si dovrebbe fare qualcosa per arginare il problema».
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