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«Dalla maledizione delle tre croci agli insulti al Patriarca: ha occhi rotanti». Ecco cosa diceva l’ex don D’Antiga

Venezia, processo ai presunti “Corvi del Patriarcato”: don Donadoni e don Caputo raccontano dei difficili rapporti in diocesi con l’ex prete, che non è imputato

Roberta De Rossi
2 minuti di lettura

Massimiliano D’Antiga mentre depone in aula nell’udienza del 14 dicembre scorso

 

Al processo ai presunti “Corvi del Patriarcato” – accusati di aver riempito per sei volte la città di manifestini diffamanti la chiesa e molti sacerdoti – sono a giudizio in due: Enrico Di Giorgi (accusato di essere il “corvo”) e Gianluca Buoninconti (per la Procura, il suo aiutante).

Ma alla fine in aula, si parla sempre e solo di Massimiliano D’Antiga, l’ex parroco di San Salvador e San Zulian, il cui trasferimento aveva scatenato proteste e polemiche. Fino all’intervento del Vaticano (al quale si era rivolto anche uno dei fedeli, Alessandro Tamborini) e la riduzione a stato laico dell’ex prete. Che – da assente – ha preso la scena anche venerdì 31 marzo.

«La riforma delle parrocchie nell’area marciana era nell’aria da tempo», racconta don Roberto Donadoni, che tra i suoi molti incarichi è succeduto a D’Antiga, «ma quando il patriarca ci convocò per le nuove nomine e disse che San Zulian passava a me, ci fu la sollevazione di D’Antiga. Cercammo di calmarlo: si alzò tre volte, offese il patriarca. Gli era stato proposto di diventare cappellano a San Marco e continuare a seguire il suo gruppo di genitori “con figli in cielo”, ma fu irremovibile. Quando nei giorni successivi andai a San Zulian a prendere le chiavi e i bilanci, mi gridò che sarebbero usciti tutti gli scandali che conosceva: le cose che mi diceva me le ritrovai poi sui volantini. Scola mi disse di cercare di tener dentro d’Antiga nella comunità marciana, ma non ci fu modo».

Cosa diceva, chiedono la pm Daniela Moroni e il giudice Stefano Manduzio? «Che il Papa era un eretico, un uomo da non considerare, verso il patriarca usava epiteti come “dragone”, “impostore”, diceva che “aveva gli occhi roteanti di fuoco, che era un duce e lui sarebbe stato il sassolino che lo avrebbe fatto cadere”.

Al passaggio delle consegne di San Zulian, quando gli chiesi di parlare anche dell’eredità della signora Guglielmetti, «si arrabbiò e cominciò a dire: l’eredità è mia, celebro io i funerali e non riguarda parrocchia e diocesi. Scatenò maledizioni con il segno della croce fatto tre volte, maledendo tutti i presenti. Moraglia lo invitò a cena per placarlo, D’Antiga mi disse: “Gli porterò una bottiglia di vino avvelenata”».

Lo ricordiamo, Massimiliano D’Antiga è stato teste in questo processo, non è imputato.

Poi l’episodio già narrato in cui – prosegue don Donadoni – «la signora Berlingieri mi chiese di aiutare a sistemare la questione di don Massimiliano, dicendo che attorno a lui giravano mille fedeli pronti a tutto, anche a far uscire un dossier su scandali sessuali, pedofilia, omosessualità. Gli dissi di andare in Polizia e Procura». Indagini nelle indagini.

Dopo averne parlato con il Patriarca, Donadoni ebbe un nuovo incontro con la signora: «Registrai tutto e lo diedi ai carabinieri. Sono stati 5 anni terribili. Nel volantino del 6 agosto mi si indicava come pedofilo, si parlava di festini di droga a Santi Giovanni e Paolo: in quel tempo ero malato e poi ho avuto un grave stress emotivo per quanto accaduto. Ho dovuto lavorare per togliermi questa nomea, queste falsità di dosso: sposo 40 coppie l’anno».

Don Donadoni si è anche trasformato in investigatore sul campo: su indicazione dei carabinieri è stato lui a raccogliere con i guanti, “imbustare” la gran parte dei volantini apparsi a Venezia quell’estate e riconoscere Di Giorgio in un video.

Un quadro confermato da don Gianmatteo Caputo, responsabile dei Beni culturali per la Diocesi. «Ho avuto difficoltà con D’Antiga per una prassi non canonica nella gestione dei beni. Monsignor Pagan mi mostrò una ripresa fatta a San Salvador con un complesso rock con ambientazione satanica. Ho cercato di spiegargli più volte le responsabilità civili e penali rispetto al patrimonio da amministrare. Più volte gli ho detto di chiudere le porte che teneva spalancate».

Anche don Caputo è stato vittima dei volantini: «C’è stata solidarietà, ma anche un chiacchiericcio che pesa. Ci siamo fatti l’idea che siano una rivalsa. Dietro c’è una mano intelligente, subdola e capace. Il fatto che si insinui la confessione tra noi è estremamente grave. Nel volantino che fa il mio nome si diceva che convivevo, ma abito solo. Si parlava di pedofilia, mercimonio, cose alle quali sono assolutamente estraneo». Udienza il 17 aprile, teste il patriarca Moraglia.

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