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Laguna in pericolo e calcoli sbagliati: «Basta fake news su maree e Mose»

Il professor D’Alpaos se la prende con i dati diffusi da Corila «L’innalzamento del mare 9 volte di più di quanto detto»

Alberto Vitucci
2 minuti di lettura
(afp)

«La laguna non è un giocattolo. Ma un bene prezioso, i cui problemi meritano di essere studiati con saggezza. Basta dunque con la fake news e con gli esperimenti improvvisati che possono avere pesantissimi riflessi ambientali e morfologici».

Il professor Luigi D’Alpaos, ingegnere idraulico dell’Università di Padova, lancia l’ennesimo appello sul fronte della salvaguardia. E critica pesantemente i dati diffusi qualche giorno fa dal presidente del Corila, il docente di Ca’ Foscari Antonio Marcomini, sull’aumento del livello del mare nel prossimo secolo e sulle chiusure necessarie del sistema Mose.

D’Alpaos ha concluso uno studio elaborando i dati dell’Ufficio maree e le acque alte registrate dal 2000 al 2018. Concludendo che il rischio è elevato. E che il numero di ore di chiusura delle dighe, con una stima “ottimistica” di innalzamento del mare di “soli” 50 centimetri a fine secolo, supera le 4.500 ore negli anni peggiori esaminati. Nove volte di più di quanto annunciato dal Corila.

«Ci si trova purtroppo ancora di fronte a una fake news», attacca D’Alpaos, «che fa il paio con quella sostenuta dallo stesso Corila al tempo della stesura del progetto definitivo delle opere alle bocche, che prospettava un incremento a fine secolo del livello medio del mare di 22 centimetri (definito probabile- cautelativo), associato a una previsione “pessimistica” di soli 31 centimetri. Invece, annota l’ingegnere, la realtà è molto diversa.

«Negli stessi anni i rapporti dell’Ipcc, l’istituto scientifico intergovernativo dell’Onu, stimavano un aumento del mare di 50 centimetri. Stima aggiornata lo scorso anno, segnalando un ulteriore aumento del problema. Per comprendere la gravità della situazione», continua D’Alpaos, «basta osservare i dati delle maree registrati a Punta Salute nel trentennio 1988-2017».

Già qui, senza l’aumento degli oceani, annota il professore, si vede che il mare è aumentato di 3,6 millimetri ogni anno. Con una proiezione di 50 centimetri su base secolare. D’Alpaos contesta anche i dati forniti dal Corila sul numero di chiusure del Mose per maree superiori a 110 centimetri (130 a Chioggia) e sulla loro durata (500 ore).

Sempre fermandosi ai 50 centimetri dello scenario “ottimistico”, scrive D’Alpaos, «la durata media ogni anno risulta di 2.000 ore di chiusura, ma sale a oltre 4.500 nell’anno peggiore esaminato (il 2004). Il numero delle chiusure è di 300 l’anno, 365 nell’anno più sfavorevole, il 2011.

Che significa? Che lo scenario per i prossimi decenni è preoccupante. E che il solo Mose potrebbe non bastare a salvare la città e la sua laguna. Anzi, si porrà il problema delle eccessive chiusure e dei danni ambientali provocati.

«Non sono numeri che spingono all’ottimismo», conclude l’insigne idraulico, «al contrario dovrebbero portare a riflettere, a non diffondere dati ingannevoli e non lasciar correre il tempo beandosi per essere stati al momento in grado di evitare l’allagamento dei centri lagunari. Sarebbe necessario piuttosto ragionare intorno ai provvedimenti da associare al Mose, e farlo al più presto per non essere costretti come già accaduto a improvvisare interventi non sufficientemente meditati».

Un appello ai “decisori” e alla politica. E a coloro che dovranno essere chiamati a guidare la nuova Autorità per la laguna. Affinché prima di decidere interventi in laguna sentano gli scienziati indipendenti. Come sempre ha fatto la Serenissima Repubblica.

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