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La crisi dei forni veneziani e il rischio di chiusure. «Ottobre ultima spiaggia»

La tradizione veneziana alle prese con l’impennata di utenze e materie prime. Ma anche con una città sempre più spopolata. Ma la soluzione sarebbe a portata di mano

eugenio pendolini
3 minuti di lettura

VENEZIA. È il prossimo mese di ottobre quello segnato sul calendario dai panifici veneziani. Il mese più temuto, quello cioè delle scadenze delle bollette ma anche della fine della stagione estiva e del turismo. Se non arriveranno contromisure da parte del governo e dell’Europa, dicono, in tanti rischiano di chiudere la saracinesca. Una volta per tutte.

Un mix di fattori rischia, stavolta sì, di mettere in ginocchio tutti i forni veneziani. Il colpo di grazia, inutile dirlo, arriva dalle bollette. Più che raddoppiate negli ultimi mesi, vanno ad incidere enormemente su quelle attività tra le poche rimaste tutt’ora a gestione familiare. Impastatrici, formatrici, celle di lievitazione, forni a metano e con dei contatori fino a 60 kilowatt.

All’energia elettrica si aggiunge il gas. «Veniva acquistato a 8 centesimi al metro cubo, ora a 80. Ma in prospettiva si parla addirittura di due euro al metro cubo», spiega Nicola Rizzo, titolare insieme al fratello della Rizzo Venezia srl, 37 dipendenti, presente in città dalla fine dell’800, «così diventa drammatico. Poi ci si mette anche l’energia. Servono interventi del governo, così insostenibile. Bisognerà fare attenzione a cosa succede a ottobre novembre».

Per il momento non si parla di razionare la produzione: il rischio non c’è, garantisce Rizzo. «Al massimo, quello sì», dice, «forse tra qualche settimana non sarà più possibile produrre nelle stesse quantità di prima il pane di nicchia, come il pane di segala, che richiede forni grandi per quantitativi ridotti. Ma il pane, a Venezia, ci sarà sempre. È una tradizione troppo antica e troppo speciale».

Promessa o speranza che sia, le impennate dei costi e le speculazioni difficilmente guardano in faccia le tradizioni cittadine. E quella del pane, a Venezia, ne ha tutti i crismi. Rosette, bovoli, montasù, cioppe, mantovane, struzze, turaccioli, minibaby. Una settantina in tutto le diverse tipologie di pane veneziano, il vanto dei forni cittadini.

Qui le particolari condizioni atmosferiche (umidità in primis) impongono una lavorazione e una lievitazione che altrove semplicemente non esiste. Ma oltre al clima, alle bollette, al costo della farina e alla difficoltà di dare ricambio generazionale ai fornai, l’altra spada di Damocle sulla testa dei fornai arriva dalla città stessa. Sempre meno abitata.

E dove la città si ritira, insieme all’artigianato, quella industriale avanza. In meno di 30 anni i forni, in centro storico, si sono più che dimezzati. Erano 50 negli anni’90, oggi sono meno di 20 (tra cui il forno Crosera, quello dei fratelli Albonico o dei fratelli Rizzo).

Eppure, chi resiste non ha assorbito il lavoro di chi non ce l’ha fatta, anzi. Perché? Basta guardare i dati dei residenti. È il 1988 quando Alfredo Rizzo, proprietario dello storico panificio nato nel 1890 ed ex presidente dei panificatori, organizza il convegno “Esodo. Venezia, in quanti? ”.

Trent’anni fa, con una popolazione di 83 mila cittadini, il primo dei tanti gridi d’allarme. Oggi siamo a meno di 50 mila. Ecco perché, oggi più che mai, i panificatori veneziani temono di scomparire.

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Al centro, Paolo Stefani alla consegna del gagliardetto del Comune da parte dell’assessore Costalonga

 

L’INTERVISTA

«La colazione anche in panificio per aiutare la nostra produzione

La proposta di Paolo Stefani, storico presidente dei panificatori veneziani, per risollevare le sorti degli artigiani veneziani in difficoltà.«Mai come oggi la situazione è drammatica. Questa sarebbe una soluzione a portata di mano»

VENEZIA. Portare il piacere di una colazione al bar dentro un panificio veneziano. Senza il servizio di somministrazione assistita, magari con qualche distributore automatico per le bevande a cui abbinare i prodotti appena sfornati. Una cosa da poco, che però a fine mese potrebbe garantire una piccola boccata d’ossigeno in più ai panifici cittadini.

«È un problema di licenze? Risolviamolo. I bar in questi anni hanno avuto tante agevolazioni, i panifici nulla. Ma qui si parla di una produzione artigianale, che rappresenta un’eccellenza e un presidio cittadino. Eppure a Venezia con questo trend rischiamo di avere solo pane industriale».

Paolo Stefani, 81 anni, storico presidente dei panificatori veneziani e titolare del forno Colussi, nato nel 1840, il più longevo in città, una proposta per uscire dal pantano ce l’ha. Ora però il tempo stringe. «Mai come oggi», ammette Stefani, «la situazione è drammatica. Il mese di ottobre è l’ultima spiaggia».

Cosa la preoccupa di più del contesto odierno?

«Tante cose insieme. Il personale, ad esempio. Da un anno cero di assumere un giovane fornaio di origini albanesi, ma non riesce a ottenere il permesso di soggiorno. Troppa burocrazia, che si aggiunge alla difficoltà di trovare gente disposta a lavorare di notte pur con un buon stipendio».

Ci sono poi le materie prime.

«La farina è aumentata del 60%: da 42 euro al quintale a 75. Così scontiamo la concorrenza dei paesi dell’Est, con materie prime scadenti usate per il pane industriale. E poi le bollette, su cui però non si tiene conto dell’incidenza».

In che senso?

«Sento in giro considerazione solamente sull’aumento assoluto delle bollette. Ma l’incidenza su bar e ristoranti, con fatturati corposi, è di sicuro minore rispetto a quella dei forni con fatturati annui medi di 300-350 mila euro e con decine di macchinari che garantiscono la nostra attività produttiva».

E così l’eccellenza veneziana è davvero a rischio?

«Le difficoltà durano da vent’anni per un’eccellenza che non ha eguali. Qui l’umidità è la negazione della durata del pane, motivo per cui siamo costretti a fare pane di qualità sopraffina. Vent’anni fa c’erano quaranta panifici, ora siamo la metà. I supermercati non sostituiranno mai i panifici: se noi chiudiamo, lì si venderà solo pane surgelato. È tempo di decidere se vogliamo abbandonare questo settore».

Ha parlato di “ultima spiaggia”. Che cosa propone?

«Una soluzione potrebbe arrivare dalla possibilità che i panifici veneziani possano offrire anche una colazione, con un caffè e una bibita, come succede altrove. Senza arrivare alla somministrazione assistita. Se è un problema di licenze, sediamoci a un tavolo con il Comune e parliamone. Magari garantirà 50-100 euro in più a fine mese, ma sarebbe comunque qualcosa di concreto». —

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