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Edoardo di Oriago, professione degustatore di caffè: ecco i suoi segreti per una tazzina perfetta

Il 29enne, tostatore alla Gambato Caffè di Mirano, è uno dei 42 in Italia a possedere la certificazione per l’Arabica

rubina bon
2 minuti di lettura
Edoardo Pinton, 29 anni, degustatore di caffè 

MIRANO. Per lui il caffè non è semplicemente il piacere di una tazzina sorseggiata in compagnia o l’emblema del relax. Il caffè è lavoro e passione. Da sabato Edoardo Pinton, 29 anni di Oriago, è entrato nel gotha dei suoi cultori.

Tostatore alla Gambato Caffè di Mirano, ha ricevuto la certificazione “Q Arabica Grader” come degustatore alla Bloom Coffee School di Trieste. È il 42° in Italia e unico in provincia ad aver raggiunto il riconoscimento al termine di un percorso di teoria e prove pratiche del tutto simile ai sommelier o agli assaggiatori di olio. Un orgoglio anche per l’azienda per cui lavora, attiva dal 1955: «È la testimonianza della nostra continua ricerca di eccellenza e innovazione», dice il fondatore Eldo Gambato.

Pinton, come è arrivato a diventare degustatore?

«Dopo lo Scientifico a Dolo, dal 2014 lavoro alla Gambato Caffè come tostatore. Nel 2019 ho iniziato a conseguire le certificazioni “professional” partendo da quella per la tostatura. Fino al “Q Arabica Grader”, massimo riconoscimento nel mondo del caffè. La passione per il prodotto è cresciuta man mano che lavoravo».

Qual è il percorso per arrivare al “Q Arabica Grader”?

«Il “Q Grader” è una figura introdotta nel 2003 dal CQI, il Coffee Quality Insitute, e prevede due percorsi in base al tipo di chicco esaminato in assaggio, se Arabica o Robusta. Il corso intensivo, tutto in inglese, prevede tre giorni di teoria e altri tre di pratica con 19 prove da superare e un esame finale di cultura generale con cento domande».

In cosa consistono queste prove?

«C’è ad esempio l’analisi visiva del caffè verde, ossia quello ancora crudo, per trovare i chicchi difettati. O l’analisi sensoriale assaggiando cinque tazze dello stesso campione e compilando poi una scheda-assaggio, detta cupping form, in cui valutare fragranza, corpo, acidità, aromi ed altro. Per questa analisi, il caffè viene preparato con il metodo alla brasiliana, detto cupping, ovvero si macinano i chicchi in modo grossolano e si fa un infuso. Dopo 4 minuti, sulla tazza si crea una crosta che viene rotta. Il macinato si deposita sul fondo e quando il caffè arriva a 70-71 gradi si assaggia. Questa prova viene effettuata in una stanza illuminata solo con alcune luci rosse di modo da non avere alcuna indicazione visiva sulle caratteristiche della miscela».

Le procedure ricordano quelle dei sommelier...

«Per l’analisi olfattiva si usano le boccette in origine pensate per i sommelier. Il compito del degustatore è quello di riconoscere anche i profumi del caffè. Ce ne sono 36, dal riso alla terra, dall’albicocca al gelsomino. E anche noi dopo l’assaggio, sputiamo».

Quale valenza ha un riconoscimento come il suo all’interno di un’azienda?

«Posso analizzare i campioni di caffè e dare un giudizio, evidenziandone qualità e difetti. Ci possono essere chicchi immaturi, danneggiati da funghi, oppure con poca densità, ovvero con poca acqua e quindi difettosi alla tostatura. O ancora chicchi mangiati da parassiti e dunque senza corpo. E posso assegnare i cup scores, punteggi espressi in centesimi nella scheda di valutazione dell’analisi sensoriale».

Italia sinonimo di espresso. È proprio così?

«Ci definiamo i migliori nel settore ma conosciamo solo certi tipi di caffè e non tutti i metodi di estrazione. Siamo ancorati alla moka o all’espresso. Vino e olio sono andati avanti, per quanto riguarda il caffè invece siamo rimasti fermi. Non vogliamo conoscere la filiera, né i vari tipi di estrazione che danno prodotti maggiormente adatti a ogni momento della giornata. Per noi ci sono solo l’espresso e la moka. Vorrei diffondere cultura e consapevolezza su questa incredibile bevanda: in Italia purtroppo c’è ancora molta strada da fare per valorizzare ogni tazza. È per questo che non mi fermo. Vorrei seguire altri corsi per arrivare ad altre certificazioni. Nel contempo posso tenere corsi per il roasting, ossia la tostatura, l’analisi sensoriale e l’introduzione al mondo del caffè».

I suoi tre segreti per un caffè perfetto con la moka a casa?

«Niente montagnola di polvere, fuoco lento e non far gorgogliare la moka. Al primo suono si deve spegnere subito il gas e togliere la moka dal fornello per non bruciare il caffè e rovinare la resa in tazza».

Dopo tutti questi assaggi al lavoro, ma lei un caffè a casa se lo beve?

«Molto raramente».

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