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Venezia, città dei bar. A San Marco, è boom di locali. Ecco la mappa per sestiere

Le aree turistiche vanno di pari passo con lo spopolamento. «Ora rivedere le concentrazioni»

Eugenio Pendolini
2 minuti di lettura

VENEZIA. La città dei bar. Mentre il numero di residenti calava costantemente, negli ultimi dieci anni (e almeno fino al 2018) caffè, osterie, ristoranti e take away sono proliferati come funghi insieme al turismo di massa e ai negozi di paccottiglia.

E infatti, i dati dell’assessorato al commercio, resi noti dopo l’interrogazione presentata da Marco Gasparinetti (Terra e Acqua), sono inesorabili. Tra il 2015 e il 2019, gli esercizi pubblici sono aumentati al ritmo di 100 l’anno.

Solo 15 invece tra il 2020 e 2021, per effetto del stop a nuove concessioni deciso con delibera del Comune. In parallelo, negli ultimi cinque anni in laguna si sono persi 3.343 abitanti. La ritirata di chi vive e dei negozi di vicinato da un lato, l’avanzata degli esercizi pubblici e dei take away dall’altro. Inesorabile.

Ed è proprio un sestiere come San Marco a fare da cartina tornasole di questo fenomeno.

Già perché in base ai dati disaggregati del Comune, nel cuore di Venezia oggi ci sono 173 bar per 3.590 residenti: uno ogni 20 abitanti. Numeri dunque ben sopra la media cittadina, se si considera che sommando sestieri e isola della Giudecca, si arriva a 1.021 attività per 50.306 abitanti (uno ogni 50). Numeri leggermente più alti a San Polo (1 ogni 35) e Castello (1 ogni 60).

«Quando la proliferazione degli esercizi di somministrazione bevande procede di pari passo con lo spopolamento dei sestieri», commenta Marco Gasparinetti (Terra e Acqua), «il rischio è quello di ritrovarci con una conchiglia vuota: un contenitore “mangia e bevi” al posto di quello che era il cuore pulsante di Venezia. Il rapporto di 1 a 20 nel sestiere di San Marco è un campanello di allarme che andrebbe ascoltato per evitare che gli altri sestieri e le isole minori facciano la stessa fine».

Vero è che per effetto della delibera del 2018 negli ultimi due anni le inaugurazioni sono state appena 15 (dieci nel 2020, 5 nel 2021), niente a che vedere con i ritmi massacranti a cui era sottoposta la città fino quattro anni fa. Un «importante segnale di cambiamento», secondo l’assessore Costalonga. E infatti oggi le attività sono in tutto 1. 468, inserendo anche i pubblici esercizi non aperti al pubblico indistinto come i bar interni (musei, uffici, impianti sportivi, circoli, mense e biblioteche)

Oggi le nuove aperture sono legate a spostamenti di concessioni all’interno delle stesse micro zone, aree delimitate e più piccole degli stessi sestieri (per citarne qualcuna: Area Marciana, Santa Maria Formosa, Santo Stefano, Santi Apostoli, Santa Margherita).

«Ma invece sarebbe il caso di vincolare le licenze ai numeri civici dove sono operative», propone ora Claudio Vernier, titolare del Todaro e presidente dell’associazione Piazza San Marco, «così si eviterebbero pericolose concentrazioni all’interno delle stesse aree, o almeno restringere le stesse macro zone e farle diventare delle micro zone».

Già perché ora come ora, per fare un esempio, vecchie licenze a San Salvador potrebbero tranquillamente aprire in Piazza o al Teatro Goldoni, o a San Luca, a patto di restare all’interno della stessa macro zona. Andando così a ingolfare ulteriormente aree cittadine dove negli ultimi decenni nuovi bar e locali sono spuntati come funghi.

«Ma la previsione delle macroaree», ribatte l’assessore al commercio, Sebastiano Costalonga, «da un punto di vista tecnico è uno strumento per mantenere l’equilibrio tra le parti. La licenza non esiste più, tecnicamente è una autorizzazione a operare in presenza di determinate caratteristiche, vincolarla ai numeri civici significherebbe mettere i proprietari dei fondi in una posizione di vantaggio». —

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