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Ripopolare Venezia con il lavoro da remoto e la ricerca. Esperimento con la multinazionale Cisco

Un progetto promosso da Ca’ Foscari. Si parte con sedici persone, ma gli iscritti sono già 1200. In laguna i dipendenti della multinazionale americana

Vera Mantengoli
5 minuti di lettura
(ansa)

VENEZIA. La cultura come medicina contro lo spopolamento. Le università Ca’ Foscari e Iuav, in collaborazione con la Fondazione di Venezia, hanno avviato il progetto «Veniwhere» per incentivare l’arrivo di persone che possano alloggiare in città e lavorare in smartworking.

I primi a sperimentare cosa significhi vivere e lavorare a Venezia saranno 16 dipendenti della Cisco, azienda multinazionale con sede a San Francisco, California, specializzata nella fornitura di apparati di networking. I 16 pionieri arriveranno a marzo e, nel loro periodo veneziano, proveranno a capire come funziona la piattaforma Veniwhere e come migliorarla.

«Venywhere vuole contribuire a disegnare il futuro di Venezia come città del lavoro contemporaneo» spiega il professore di Ca’ Foscari Massimo Warglien, ideatore e coordinatore del progetto.

«Ci aspettiamo che un nuovo flusso di lavoratori residenti aiuti a mantenere in vita servizi essenziali per i cittadini e contribuisca a spostare parte dell’offerta di alloggi dal breve al medio e lungo termine, creando nuove opportunità abitative per tutti». Si tratta di un progetto che punta a ripopolare la città provando a invitare diverse tipologie di lavoratori, dai ricercatori ai dipendenti di aziende, passando per i freelance. Le università in cambio aiutano la persona a trovare alloggio, le spiegano come funziona il sistema sanitario e offrono il supporto per tutte quelle informazioni che servono a chi si sta trasferendo.

Da poche settimane è stata attivata la piattaforma Veniwhere che ha avuto 15000 visite e oltre 1200 iscrizioni di potenziali lavoratori interessati a trasferirsi a Venezia per sperimentare una nuova modalità di lavoro e per vivere la città da residente. Attraverso la piattaforma il potenziale lavoratore trova supporto nell’individuazione di soluzioni residenziali e di spazi lavorativi adeguati e forme di cittadinanza attiva al servizio della comunità.

Veniwhere prova a lanciare un progetto per un rinnovamento urbano che potrebbe decollare grazie alla presenza di una nuova popolazione di "cittadini temporanei” che potrebbero diventare col tempo nuovi residenti.

Per Michele Bugliesi, presidente della Fondazione di Venezia, siamo davanti a una piattaforma di grande potenziale. L'ex rettore, chiamato nella commissione nazionale dell'Acri dal presidente Francesco Profumo per elaborare il Progetto di Digitalizzazione del Paese, vede nella piattaforma uno strumento in grado di favorire uno sviluppo della città lungo una dimensione innovativa, qualificante ed efficace sia sul piano della residenzialità, sia in termini delle prospettive di indotto sociale ed economico.

Soddisfatto l'amministratore delegato di Cisco Italia, l’azienda che tiene a battesimo il progetto: «Per noi realizzare un modello di lavoro moderno e inclusivo ha sempre rappresentato una priorità irrinunciabile – spiega Gianmatteo Manghi – ed era naturale che prendessimo parte in maniera proattiva al progetto Venywhere, grazie al quale avremo modo di testare ulteriormente le nostre tecnologie di collaboration e di raccogliere i dati necessari per definire le linee guida del futuro del lavoro».

L’INTERVISTA. COSTA: «APRIRE AI RICERCATORI»

Una volta nessuno li voleva, ora invece rappresentano una speranza per il futuro di Venezia. Sono gli studenti che le università cittadine cercano di attrarre grazie anche a un piano immobiliare in continua espansione. In una città che si sta spopolando porterebbero linfa vitale, ma per quanto tempo? Per Paolo Costa, già rettore, sindaco e ministro, il progetto può funzionare a patto che arrivino anche ricercatori e professori che lavorino in città, altrimenti si rischia una monocultura studentesca, altrettanto precaria.

Professore, cosa ne pensa dell’università diffusa?

«Nei primi anni Novanta, quando ero prorettore di Giovanni Castellani, iniziammo a trattare per insediare, in quello che un tempo era il macello, l’università, dove ora c’è San Giobbe. All’epoca però la città non voleva gli studenti perché si diceva che rubavano spazi ai residenti e che rompessero le scatole e ci furono forti contestazioni a Cannaregio. La stessa isola di San Servolo stava per diventare la sede di un albergo, ma noi bloccammo la proposta e riuscimmo a trovare il primo nucleo di cinque università. Oggi la tendenza si è invertita, ma già quella volta c’era l’idea, lanciata dai professori Giuseppe Mazzariol e Giampietro Puppi, che Venezia fosse un luogo adatto alla ricerca».

Può ancora avere un impatto positivo anche sul territorio?

«Oggi, in una città che dimostra di non avere più un tessuto lavorativo e di aver fondato tutto sulla monocultura turistica, le università al contrario sono in ottima salute. La pandemia ha messo in evidenza che il turismo non è così resiliente come si pensava e che quello su cui ci siamo affidati, ovvero per dirla come Giovanni Papini il genio dei padri e la curiosità dei foresti, ha poco di imprenditoriale. Come dire…sotto il turismo…niente. Bisogna comunque fare una riflessione affinché portare gli studenti a Venezia non diventi un modo per riempirla temporaneamente perché altrimenti ci troviamo di fronte a un turista camuffato da studente, con la sola differenza che rimane un po’ di più e nulla cambia».

Quindi su cosa dovrebbe puntare l’università?

«Premetto che ci sono state, a mio parere, delle occasioni mancate come quella della sublagunare, respinta perché si temeva l’assalto dei turisti. In realtà la sublagunare sarebbe servita per chi abita nel territorio e a fini produttivi, per chi veniva a lavorare e non al turista che ha tempo da perdere e può passeggiare. Abbiamo sbagliato a non rendere Venezia accessibilissima perché in questo modo, piano piano, l’unica funziona che come centro storico poteva continuare ad avere, ovvero quella di ospitare centri direzionali, è andata perduta».

«Concordo con la rettrice Tiziana Lippiello, ma il punto da tenere presente è che senza funzioni non ci sono residenti e non il contrario, quindi va bene attirare il mondo della cultura, ma devono essere soprattutto ricercatori e professori, persone che vengono qui per lavorare e ricostruire quel tessuto lavorativo che ora non c’è e che in passato c’era, penso al ruolo della Marittima o ai tanti centri direzionali che hanno chiuso, uno dopo l’altro. Se l’università si espande in un corpo vivace va bene, ma se l’università deve diventare il sostituto di come ripopolare la città non se ne esce».

Cosa ne pensa del progetto Venywhere di Ca’ Foscari per attirare lo smartworking?

«Penso che sia un ottimo progetto perché sono persone che vengono a lavorare e bisogna puntare al mondo digitale, come sta avvenendo anche per esempio in alcuni luoghi in Toscana. La città però è rara e non si può pensare che sia come le altre perché di fatto è elitaria. Bisogna chiamare le eccellenze perché va bene avere un giovane laureato, ma poi bisogna pensare a farlo rimanere qui e per questo occorre rimettere in moto le fondamenta economiche della città, dalla Marittima ai centri direzionali».—

©Andrea Pattaro/Vision 2022 

LA MAPPA: UNA CITTA’ PUNTEGGIATA DI ACCADEMIE

Una città punteggiata dalle accademie. Dove le funzioni scientifiche sono ben distribuite nella città storica. Se Venezia volesse cogliere l’occasione di una nuova strategia oltre la pandemia, guardare questa mappa potrebbe esserle utile. Per scrollarsi di dosso l’immagine di una città soltanto turistica, Università e accademie possono offrire il profilo di una città dove le funzioni sono diversificate. E dove le accademie, appunto, sono complementari a una città che deve unire alla tradizionale residenza e al commercio di vicinato, anche funzioni direzionali e scientifiche.

In occasione della mostra «Le sfide di Venezia. L’architettura e la città nel Novecento», M9 Museo del Novecento ha mostrato questa mappa curata da Guido Zucconi ed elaborata da Manuel Pinto per Archivio Progetti Università Iuav, che indica appunto i luoghi dove le università sono insediate nel centro storico. In realtà, Ca’ Foscari è anche molto presente in terraferma, nella zona di via Torino. E presto si candiderà ad aprire uno spazio anche al Lido, nell’ex caserma Pepe. Un progetto che la rettrice Tiziana Lippiello ha sintetizzato nel modello di «università diffusa».

Nella città storica, «ai pochi isolati capisaldi di Ca’ Foscari e dello IUAV si sono aggiunte, a partire dagli anni settanta, molti altri luoghi destinati alla didattica, a riprova della trasformazione di Venezia da piccolo ad importante centro di studi universitari» descrive la mostra chiusa ai primi di gennaio. E se non è ancora «il modello Boston», la capitale del Massachusets dove coesistono ventitré diverse università, un poco ci assomiglia. Senza naturalmente rischiare, come osserva Paolo Costa, di ottenere un estremo opposto: dalla monocultura turistica alla monocultura universitaria. —

RIPRODUZIONE RISERVATA

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