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«Casalesi di Eraclea: associazione mafiosa» La sentenza della Corte d’Appello conferma

L’ex sindaco Teso condannato a tre anni e un mese per concorso esterno, 5 anni all’ex poliziotto Moreno Pasqual

Roberta De Rossi
2 minuti di lettura

/ eraclea

Ad Eraclea, per anni, ha agito un’associazione criminale di stampo camorristico.

Lo riconosce la prima sezione della Corte d’Appello di Venezia, presieduta da Carlo Citterio, con la sentenza con la quale ieri sera ha convalidato il quadro accusatorio presentato dalla Procura di Venezia e dalla Procura generale, confermando nella sostanza il “cuore” della sentenza con le condanne in primo grado: il “Clan dei Casalesi di Eraclea” è stata un’associazione di stampo mafioso, così come configurato dall’articolo 416 bis.

Confermate infatti dalla Corte - pur con qualche modifica - le condanne ai partecipanti al sodalizio, che hanno scelto il rito abbreviato. Come pure confermata l’accusa di concorso esterno nei confronti dell’ex sindaco di Eraclea Graziano Teso – accusato di aver favorito l’associazione in alcuni affari immobiliari, come quello per l’acquisto dell’hotel Victory – seppur con una leggera diminuzione della pena. Ribadita, inoltre, la condanna dell’ex poliziotto jesolano Moreno Pasqual, che al gruppo passava informazioni sui controlli e le indagini in atto.

Caduta per lei l’aggravante del favoreggiamento all’associazione mafiosa, la Corte ha invece dichiarato prescritta l’accusa mossa all’avvocata penalista Anna Maria Marin di aver passato in un’occasione notizie coperte da segreto al suo cliente Luciano Donadio.

Assolta con formula piena Daria Poles, che è scoppiata in lacrime alla lettura del dispositivo che ha cancellato la condanna di primo grado a due anni (a difenderla, l’avvocata Orietta Baldovin).

Dopo una camera di consiglio durata l’intera giornata, alle 19 di ieri sera, il presidente Citterio ha letto l’attesa sentenza di secondo grado nel processo ai 25 imputati che hanno scelto il rito abbreviato nella maxi inchiesta coordinata dai pm Federica Baccaglini e Roberto Terzo e, nell’aula di appello, sostenuta dalla procuratrice generale Marina Carmela Barbara Ingoglia. Le difese già annunciano ricorso in Cassazione: le motivazioni della decisione della Corte saranno depositate nei prossimi 90 giorni.

Confermate - seppur con alcune modifiche - le condanne degli uomini di fiducia del gruppo, come l’imprenditore di San Donà Cristian Sgnaolin, braccio destro finanziario di Luciano Donadio e poi collaboratore nelle indagini. Come le pene nei confronti di quelli che la Procura ritiene dirigenti e protagonisti delle spedizioni punitive, quando c’era bisogno di raddrizzare qualche imprenditore che non pagava: Antonio Basile è stato condannato a 12 anni, Nunzio Confuorto a 8 anni e 6 mesi, Antonio Cugno a 5 anni e 2 mesi, Giacomo Fabozzi a 10 anni.

La situazione paradossale è che mentre in Appello si è già giunti alla sentenza di secondo grado contro gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato - confermando un ventennio di malaffare di stampo camorristico - non si vede ancora traccia della fine del processo di primo grado a quelli che sono tuttora i “presunti” capi del clan di Eraclea, coloro che sono accusati di aver avuto i contatti diretti con i Casalesi (quelli veri, di Casal di Principe, della famiglia di Francesco “Sandokan” Schiavone), come Luciano Donadio e Raffaele Buonanno, che per l’accusa sono stati al vertice di quel vortice di usure, strozzinaggio, estorsioni, ma anche bombe e attentati intimidatori a chi non si piegava a pagare, come pure controllo del territorio tra sponsorizzazioni alla squadra di calcio locale e rapporti con il politico di turno. Del processo con rito ordinario che da oltre un anno impegna il Tribunale, presieduto dal giudice Stefano Manduzio, non si vede termine: sì è ancora ai testi dell’accusa. Ma certo la sentenza di ieri fissa un paletto.

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