«Violenza privata ma non intimidazioni di stampo camorrista»
Il Tribunale del Riesame demolisce l’accusa di metodi mafiosi da parte degli ambulanti che partecipavano ai mercatini
r.d.r.
bibione
Nelle motivazioni dell’ordinanza con la quale hanno scarcerato gli otto indagati, i giudici del Tribunale del Riesame hanno demolito l’accusa dei “metodi mafiosi” che la Procura antimafia di Trieste ha contestato a vario titolo a sette ambulanti campani, guidati da Pietro D’Antonio, e all’ex presidente dell’Ascom di Bibione Giuseppe Morsanuto. Arrestati ai primi di settembre con l’accusa di voler dettar legge – a suon di estorsioni e minacce – nella gestione dei mercatini estivi di Bibione, sono poi stati scarcerati dal Tribunale del Riesame. Ma è nelle motivazioni dell’ordinanza depositata nei giorni scorsi, che il Riesame scardina le tesi dell’accusa.
I fatti oggetto d’indagine sono quelli che nell’estate 2020 avevano portato Pietro D’Antonio a intimare più volte alla vicepresidente dei “Giovedì al Lido Sole”, Stefania Dolci, di aprire i mercatini anche a un gruppo di ambulanti campani non in regola con il pagamento delle quote, fino al punto – davanti alle resistenze della donna – di organizzare una chiusura plateale del mercatino, con un tir messo di traverso. Poi la decisione del Comune di Bibione di aprire ai soli hobbisti, alla quale erano seguite le “ronde” con sguardo minaccioso del gruppo di D’Antonio per controllare che tra i banchi non ci fossero professionisti. Per il Tribunale, la lettura dei fatti di Procura e gip «appare frutto di un’opera di sovra interpretazione dei dati oggettivi emergenti dalle indagini e viziata da suggestioni verbali ed emotive, che hanno determinato una errata valutazione della realtà fattuale, che a una lettura più fredda, asettica e distaccata porta a ridimensionare notevolmente la gravità delle condotte contestate».
«In primo luogo», scrivono, «non appare sorretto da alcuna solida base indiziaria il fondamento dell’intera ricostruzione accusatoria, ovvero l’appartenenza o quantomeno la stretta contiguità del D’Antonio con clan camorristici».
Quest’ultimo «presenta una personalità poco rassicurante e particolarmente incline a episodi di violenza e minaccia», scrive il Riesame, il suo «registro linguistico appare rude, superficiale, elementare, inappropriato, connotato da iperboli, esagerazioni, millanterie, provocazioni», ma questo non ne fa un mafioso. Così – per il riesame – le accuse vanno ridimensionate a quelle di «violenza privata». Con minacce, insulti, «si era ottenuta una costrizione della libertà morale di alcuni commercianti, ponendo in essere una azione del tutto paragonabile a quella che si verifica in tutte le manifestazioni di protesta che degenerano in atti di violenza o minaccia». E, ancora, «non si ravvisano in alcun modo gli estremi dell’estorsione, dal momento che la condotta non era diretta ad un ingiusto profitto con altrui danno, ma semmai un modo improprio e illegittimo di dissuadere alcuni ambulanti ritenuti irregolari dal violare la delibera del Comune».
Anche nelle continue telefonate di pressione all’assessore Arduini, «le condotte degli indagati pur insistenti, irriverenti, petulanti e inopportune non valgono ad integrare alcuna ipotesi di reato». Quanto a Morsanuto «è incensurato, pienamente inserito nel contesto dell’economia legale e ha rivestito un ruolo di suggeritore, consigliere e intercessore presso le istituzioni. La vicenda appare occasionale nella biografia dell’indagato, che peraltro si è dimesso da ogni carica». —
r.d.r.
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