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Il processo ai Casalesi di Eraclea: Donadio, Casella e la “caccia” ai rumeni da far votare a Caorle

Ricostruito in aula l’interesse per le amministrative del 2016. Obiettivo: un mega progetto turistico-termale da 1250 case

Roberta De Rossi
2 minuti di lettura

ERACLEA. Cittadini rumeni “arruolati”, per iscriverli alle liste elettorali e così farli votare alle amministrative di Caorle, nel 2016.

Ne parlarono – intercettati – Luciano Donadio e l’ex carabiniere, immobiliarista e faccendiere Claudio Casella, anche lui tra gli imputati del processo ai cosiddetti “casalesi di Eraclea”. Nell’aula bunker di Mestre, è uno dei finanzieri che hanno condotto le indagini sui multiformi affari del presunto clan in odor di camorra, a raccontare – dal banco dei testimoni – del gran daffare dei due, che avevano deciso di puntare sulla lista che sosteneva Luciano Striuli, poi eletto sindaco.

Chi è Casella? «Aveva attività nelle macchinette di intrattenimento nei bar e nelle costruzioni», circostanzia il finanziere, rispondendo alle domande del pm Roberto Terzo, «aveva poi preso un terreno per realizzare il progetto delle “Terme di Caorle”, con 1250 appartamenti turistici». Un intervento per il quale cercava sponda in Comune. In vista delle elezioni del 2016 – dice l’investigatore – «Casella si rivolee a Donadio per far iscrivere suoi amici romeni tra i residenti di Caorle, per votare. Loro avevano come candidato di riferimento Giuseppe Boatto, della lista di Luciano Striuli».

Alla richiesta, Donadio rispose immediatamente, incaricando il suo braccio destro finanziario Christian Sgnaolin di darsi da fare e chiamando direttamente alcuni suoi conoscenti rumeni «per organizzare l’iscrizione dei cittadini, per reperire persone e sollecitarli a votare Boatto nella lista Striuli», aggiunge il finanziere. Entrambi vennero poi eletti, l’uno sindaco e l’altro nominato assessore: del tutto estranei all’inchiesta, sia chiaro. Quanto al mega-progetto termale, restò sulla carta.

In mattinata era stato un altro finanziere a ricostruire gli affari di una delle società della galassia del “clan”: la Enjoy, che entra nel 2010 nell’orbita del gruppo. Avete trovato nella vostra verifica soggetti coinvolti in questa indagine, chiede la pm Baccaglini? «Nel giugno 2011 la cessione a Antonio Cugno e Salvatore Salviati. Christian Sgnaolin ci risulta segretario in alcune assemblee come Giacomo Fabozzi», dice il finanziere, «Bruno e Angelo Di Corrado erano consulenti fiscali, Raffaele Buonanno dipendente, come pure Claudio Donadio e Antonio Puoti. Luciano Donadio era l’amministratore di fatto». Con quale scopo? Per il finanziere, l’Enjoy era una sorta di macchina per far fatture: «I privati non hanno partita Iva. Se si fa fattura per importi bassi e non viene contabilizzata, può essere strappata e quel progressivo usato per altri importi. Si crea una finestra da usare a posteriori. Lo spiega anche Luciano al figlio Claudio in una conversazione».

Dal carcere chiede la parola Donadio: «Volevo recuperare i capannoni della Donadio Costruzioni, che avevo pagato per i tre quarti e non riuscivo a salvare. Così ho preso in mano l’Enjoy prima del cambio di amministratore perché garanzia per le banche: essendo io amministratore insoluto non avrei potuto accedere ai mutui. Il maresciallo ha fatto però una verifica a senso unico: quella società ha sempre lavorato, anche di notte: ci hanno visto anche i carabinieri». —

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