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I decani dei camerieri di Venezia: testimoni di una città che cambia, sessant’anni di servizio fra i tavoli

Lucio Sfriso e Angelo Sartorel, “decani” ancora in attività, raccontano le trattorie frequentate da artisti, politici e sportivi

Alberto Vitucci
2 minuti di lettura

VENEZIA.  Ai loro tavoli, in mezzo secolo di onorata attività, è passato un pezzo importante di storia veneziana. Artisti e intellettuali, campioni del remo, politici e gente del popolo. Un mestiere antico, che loro interpretano con classe e professionalità. All’antica, insomma.

Nella città ormai invasa da bar, ristoranti e trattorie di ultima generazione, non sempre con rispetto per il «cliente» giornaliero, loro incarnano ancora il mestiere antico. Con la giacca bianca, il cravattino, il tovagliolo al braccio. La competenza e la serietà che adesso non sempre è di moda nel mondo del turista mordi e fuggi.

Un pezzo di storia. Di una città che in gran parte non esiste più. Ma che non vuole scomparire. Eccoli i decani dei camerieri veneziani. Sempreverdi e ancora in servizio. Lucio «Pilade» Sfriso, 75 anni, da quasi sessanta nella stessa trattoria, ritrovo stabile di artisti e regatanti. E Angelo Saltarel, classe 1943. Molto più di un cameriere. Organizzatore attento, sorriso che non manca mai. E classe da vendere.

Le loro storie si intrecciano con quelle di due ristoranti-trattorie ancora oggi in mezzo alla bolgia turistica tra le mete preferite dei veneziani. La trattoria Alla Madonna di Rialto, da sempre proprietà della famiglia Rado, non è soltanto un locale dove andare a mangiare. Ospita da sempre il lunedì dopo la sfida i campioni della Regata Storica.

Era meta di artisti e pittori. Lo è ancora oggi, quando puoi incontrare Fabrizio Plessi e molti artisti veneziani contemporanei. Luogo preferito, quasi familiare, per i grandi artisti del Novecento come Siebezzi, Novati, Bergamo. E anche Emilio Vedova, i critici e i giornalisti del settore.

«Gli artisti di qua sono passati tutti», ricorda Licio, «per noi era un onore e un piacere ospitarli e servirli. Tempi difficili, quando non tutti avevano i soldi per mangiar fuori. E loro a volte lasciavano il conto aperto. O magari pagavano con due disegni». Virgilio Guidi, celebre artista veneziano dal tratto inconfondibile, che orna le pareti del ristorante. Ma anche di Borsato, Eulisse, De Chirico, Campigli.

E oggi? «Gli artisti ci sono. Ma non è come allora. Molti pittori noi li chiamiamo “pittori da scuri”...» .

Licio è uomo che apprezza l’arte raffinata. Ma anche le tradizioni veneziane. La Madonna è meta di gondolieri e regatanti. Da sempre ospita il pranzo dei bandierati dei gondolini. Il giorno dopo la Regata Storica si discute e si rivive il film della gara. Polemiche e sorrisi. Sfriso è veloce e discreto. Ascolta e non commenta mai. L’ideale per chi vuole sentirsi a suo agio.

La mattina alle 8 è già in pista. A curare granseole, schie, canoce e gamberetti, che rappresentano il piatto forte del suo ristorante. «Lo faccio per lavoro», sorride, «ma anche per passione. Questa è un po’ la mia casa. L’attuale titolare, Lucio, l’ho visto nascere quando lavoravo già qui con la sua famiglia». Un esempio di attaccamento al lavoro «familiare». E alla tradizione veneziana.

Dall’altra parte del Canal Grande un’altra trattoria di famiglia che ha qualcosa in comune con la Madonna. La famiglia dei proprietari si chiama Marsilli. Il figlio Enrico che ha raccolto la tradizione antica del locale con le due antiche colonne di epoca bizantina in fondo alla sala. La «Vecia Cavana», appunto, dove un tempo approdavano le barche a remi cariche di mercanzie per scaricarle nel piccolo Fondaco, in luogo riparato e protetto. «Le due colonne sono lì», dice Enrico, «Angelo è la nostra... terza colonna».

Angelo Saltarel di anni ne ha compiuti 78. Ma è sempre in pista per tenere su il nome del «suo» ristorante. Insegna ai giovani colleghi, coccola i clienti, è dappertutto. «Son qui da stamattina presto», dice, «ho curato 40 chili di granseola...». La sua specialità sono i sorbetti fatti a mano. Frutta, liquirizia, menta. «Certi clienti vengono apposta per quelli». I complimenti lo fanno un po’ arrossire. «Mah, faccio il mio lavoro, nient’altro... un lavoro che mi piace, a cui ho dato la vita». Nato a Jesolo, con una esperienza che risale agli anni Sessanta («Beh, sì, ho fatto 63 anni di sala!», racconta con un po’ di timidezza). Adesso è ancora in servizio e non teme la fatica.

Due storie, due figure di persone apparentemente in seconda fila. «In realtà», dicono i loro titolari, «il successo e il nome dei nostri locali dipende anche da loro».

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