In evidenza
Sezioni
Magazine
Annunci
Quotidiani GNN
Comuni

Caporalato nei subappalti a Fincantieri, Marinese: «Giusto condannare le mele marce ma non processiamo i modelli industriali»

Il presidente di Confindustria Venezia interviene dopo la condanna di un 37enne: “Attenzione, non può essere definito imprenditore uno che lucra sulle spalle dei propri dipendenti”

Eugenio Pendolini
2 minuti di lettura

Vincenzo Marinese

 

VENEZIA. «Condannare le mele marce senza esitazione alcuna. Ma non si facciano processi ai modelli industriali delle aziende. E si salvaguardino le filiere che compongono il nostro tessuto produttivo». Vincenzo Marinese, presidente di Confindustria Venezia, definisce senza giri di parole “truffatore” il 37enne condannato dal tribunale di Venezia per caporalato aggravato dalle minacce all’interno della galassia dei subappalti di Fincantieri.

E ci tiene a staccare di dosso l’etichetta di “imprenditore” a chi lucra sulle spalle dei propri dipendenti, come nel caso del meccanismo della paga globale portato a galla dalle inchieste della Procura di Venezia. Al tempo stesso, Marinese ci tiene però a prendere le distanze dalla Cgil, che nel processo per caporalato si era costituito parte civile. Dopo aver definito la pronuncia di condanna “una pietra miliare” che riconosce per la prima volta meccanismi di sfruttamento del lavoro nella cantieristica, il sindacato con il segretario Agiollo aveva puntato il dito contro un modello produttivo ben preciso. E cioè una crescente parcellizzazione di appalti e subappalti, ormai moltiplicatisi fino a coinvolgere ogni aspetto della realizzazione delle navi.

Di qui, il coinvolgimento di aziende subappaltatrici, e la crescita di fenomeni di sfruttamento ai danni dei lavoratori. Guai però, per Marinese, fare di tutta l’erba un fascio.

Presidente Marinese, come ne esce il mondo imprenditoriale dopo questa sentenza di condanna?

«Partiamo subito male. La persona condannata viene definita imprenditore, ma io non lo chiamerei così. Una persona che lucra e ruba sulla busta paga di un dipendente, non è un imprenditore. L’imprenditore è colui che porta valore aggiunto all’azienda e ai lavoratori. L’imprenditore ha una vocazione. Qui invece siamo di fronte a un truffatore».

Per la Cgil, però, ad essere chiamato in causa è anche un modello produttivo ben preciso. È d’accordo?

«No, per niente. La riflessione dev’essere a 360 gradi. Fincantieri è un’azienda che ha un risvolto globale, che fattura 5,5 miliardi all’anno. Non possiamo intervenire in dinamiche aziendali. Dobbiamo stare fuori dai modelli industriali, che necessitano invece di essere salvaguardati. I numeri dimostrano che Fincantieri è un’azienda che negli ultimi anni sta vivendo una crescita esponenziale. E allora guardiamo a quanto capitato in passato all’Iri. Ecco perché dico: non vogliamo un apparato pubblico che gestisca tutto in prima persona, la filiera oggi è un valore che non può essere buttato al macero. Agli imprenditori che lavorano in maniera corretta, e ce ne sono milioni, cosa diremmo? Accentrare tutto riporterebbe in auge un modello industriale di un’altra epoca, quella più buia per quanto riguarda la nostra repubblica. E poi non dimentichiamoci che serve salvaguardare le filiere. Il nostro è un tessuto produttivo fatto di distretti e filiere, siamo un sistema di Pmi che crescono anche grazie alle grandi imprese».

Tra gli episodi finiti nell’inchiesta, si parla di gare perennemente al ribasso.

«Da anni chiediamo che tutto questo non avvenga più. Ma non confondiamole con negoziazioni portate avanti da singoli, come nei casi di specie. Poi certo, la gara al ribasso è un modello di cui ci dobbiamo liberare ma segnalo che avvengono di continuo negli apparati pubblici».

Eppure la condanna arrivata a Venezia si aggiunge a indagini in corso negli stabilimenti navali di Ancona e di Monfalcone. Dove sta il problema?

«Non si può denigrare un’azienda perché c’è gente che agisce in maniera fraudolenta, i reati apparterranno a questi delinquenti. Le indagini possono finire in un modo o nell’altro, ci vogliono e sono indispensabili per capire se siano stati commessi o meno dei reati. Ma non è detto che si tramutino in condanne. Ci vuole più cautela. Nel caso di Venezia, siamo di fronte a un fatto compiuto e i responsabili devono pagare. Ecco perché dico che serve condannare le mele marce senza se e senza ma. Però non si devono processare modelli industriali di aziende che funzionano».

2

Articoli rimanenti

Accesso illimitato a tutti i contenuti del sito

1€ al mese per 3 mesi

Attiva Ora

Sblocca l’accesso illimitato a tutti i contenuti del sito

I commenti dei lettori