Venezia, addio a Gianni Aricò lo scultore della gente
Scompare a ottant’anni uno degli ultimi artisti storici veneziani, l’autore delle porte del Goldoni e della fontana di via Piave
ENRICO TANTUCCI
VENEZIA. «Non ho mercanti, ma continuo a lavorare, perché ciò che mi è sempre interessato è il rapporto diretto con la gente e la leggibilità delle mie sculture, la cui commissione in molti casi è nata proprio per iniziativa di comitati di cittadini che le hanno proposte. La mia è una scultura di tipo espressionista e i maestri a cui ho naturalmente guardato sono Martini, Murer, Greco, Fazzini, in cui ritrovo le forme plastiche in cui mi riconosco e attraverso le mie opere ho sempre cercato di interpretare storie corali o personaggi che fossero appunto vicini alla gente, come per i tre portali del teatro Goldoni, in cui ho rievocato le feste popolari veneziane e le arti e mestieri tipici della città, al posto delle saracinesche di ferro inizialmente previste dal Comune».
Così diceva di sé, dal suo studiolo in Campo Santo Stefano, uno degli ultimi artisti storici veneziani come Gianni Aricò, ormai ottantenne ma sempre vitalissimo e impegnato in nuovi progetti.
Tra gli ultimi, una scultura da collocare a Padova davanti alla stazione. Ma a fermarlo il 18 agosto è stata una malattia di cui soffriva da tempo e per la quale da qualche mese era ricoverato all’Ospedale Civile, che ha piegato la sua forte fibra, lasciando la Venezia artistica, ma anche quella sociale e civile, più povera.
Dopo quasi cinquant’anni di attività soprattutto come scultore e interprete di grandi monumenti celebrativi, dalle porte del Teatro Goldoni, al monumento a Vivaldi che è all’ingresso del Porto, alla fontana di via Piave a Mestre, solo per ricordare alcuni dei complessi scultorei che lo legano più strettamente alla nostra città dove ha scelto di vivere e lavorare, nonostante le sue origini siciliane, anche se era nato a Quero, in provincia di Belluno.
Aricò – che è stato anche architetto e medaglista – ha realizzato in questi decenni molte opere in bronzo, marmo, vetro, che sono spesso entrate a far parte del nostro quotidiano, perché poste all’interno della città come la grande scultura in bronzo La Gioia, all’Isola del Tronchetto, o, appunto, i tre portali per il Teatro Comunale Carlo Goldoni di Venezia la Fontana di Mestre in via Piave, o il grande ciclo del memoriale della battaglia del Piave a Pederobba, con quattordici statue a grandezza naturale.
Ma il suo percorso artistico lo ha portato anche negli Stati Uniti col Monumento a Cristoforo Colombo per il V Centenario della Scoperta dell’America, collocato nel 1992 all’Intrepid Sea, Air Space Museum di Manhattan o per le sculture in vetro e altorilievi in bronzo per la Royal Caribbean Cruise Line Miami-Oslo.
Per la città di Vienna Aricò ha realizzato nel 2001 il monumento in marmo di Carrara dedicato a Vivaldi, replicato poi in bronzo per Venezia e posto all’ingresso del Porto. A Bologna, la statua in bronzo dedicata a Galileo accanto alla Sfera celeste in vetro di Murano.
«Le sue sculture», scriveva di lui un grande storico dell’arte come Terisio Pignatti, «sembrano nascere dal desiderio e dalla necessità che esse parlino alla gente, e con loro si stabilisca una comunicazione diretta per mezzo di un linguaggio semplice, comprensibile, basato sul rispetto della tradizione, ma anche aperto alla sensibilità più moderna». Molte anche le sculture di soggetto sacro e non a caso uno dei suoi ultimi sogni era quello di realizzare le sei formelle in bronzo che dovevano decorare il portone della chiesa di Santo Stefano, in ricordo dello scomparso don Mario Senigaglia, a lungo parroco.
Un«matrimonio» tra il portale gotico trecentesco e le formelle contemporanee che forse non si celebrerà più. Ricorda lo scultore anche il Guardian Grando della Scuola Grande di San Rocco Franco Posocco: «È una perdita anche per la città che egli ha onorato con le sue numerose sculture. La statua “La Famiglia” esposta nelle ultime feste natalizie sul sagrato della Chiesa di San Rocco è stato l’ultimo suo dono artistico».
L’altro cruccio di Gianni Aricò – sentendo vicina la fine della sua esistenza – era quello di assicurare una sistemazione dignitosa alle sue opere – sculture, in legno, ferro, bronzo, circa un migliaio – ora ammassate in un magazzino a Mestre.
«Ho promesso alla città», diceva, «che avrei lasciato le mie opere per la fruizione di tutti. Ma occorre trovare un luogo adatto dove sistemarle. Ho chiesto da tempo al Comune, al Demanio, alla Diocesi, ma nessuno mi ha risposto».
E Venezia è storicamente “matrigna” con gli artisti che qui hanno vissuto e operato. Basti ricordare la rinuncia del Comune alla donazione delle opere di Virgilio Guidi e quella, più recente, a quelle di Zoran Music, Guido Cadorin e Ida Barbarigo. Chissà che Gianni Aricò non sia l’eccezione.
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