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i buchi della salvaguardia

Il piano Europa dimenticato «Interventi fermi da dieci anni»

Il portavoce dell’Istituto dei Castelli, Andrea Grigoletto, chiede l’intervento del Provveditorato. «Patrimonio in pericolo da restaurare, lavori chiesti dall’Ue»

Alberto Vitucci
2 minuti di lettura



Dieci anni di nulla. E adesso il Piano Europa rischia di saltare. Interventi per almeno 80 milioni di euro. Misure di “compensazione, conservazione e riqualificazione ambientale” prescritte dall’Unione europea nel 2011 come “risarcimento” dei danni provocati alla laguna dagli impattanti cantieri del Mose. Soldi stanziati, imprese pronte a partire. Ma adesso il Piano Europa è finito in seconda fila. C’è l’urgenza di completare il Mose, in grave ritardo, di ripararne i guasti sempre più gravi. E di “salvare” dal fallimento il Consorzio Venezia Nuova. Così gli interventi sono fermi.

Il portavoce dell’Istituto italiano dei castelli, Andrea Grigoletto, ha inviato una richiesta urgente al Provveditorato alle Opere pubbliche. Chiedendo l’avvio di un tavolo di confronto. «Non sono lavori secondari», dice, «ma una grande opera di conservazione della nostra storia. Sentiamo dire che non ci sono i soldi, e che il Piano Europa non interessa più. E’ grave, e vorremmo capire cosa sta succedendo».

Con i fondi già stanziati per quella voce sarebbe possibile il restauro conservativo e l’utilizzo di monumenti come il Forte di Sant’Andrea, opera cinquecentesca del Sammicheli a San Nicolò di Lido; ma anche del Forte Caroman, della batteria Cabianca e della batteria Rocchetta. E il completamento del Forte di San Felice a Chioggia. «Il sistema dei forti e delle batterie difensive», scrive Grigoletto alla provveditora Cinzia Zincone, «costituisce un elemento storico identitario imprescindibile della storia della Repubblica di Venezia. Va recuperato per trasmetterlo alle generazioni future. E anche per creare occasioni di lavoro nell’ambito culturale e del turismo ecogreen».

Il sistema delle fortificazioni cinquecentesche, ideato dalla Repubblica Serenissima, comprende veri gioielli dell’architettura come il Forte di Sant’Andrea. Che aveva il compito di proteggere la laguna dagli ingressi delle navi nemiche. Ma anche molti altri a Chioggia e Malamocco. Durante la dominazione austriaca il sistema era stato rinforzato con altre batterie, infine dopo l’Unità d’Italia, per Venezia avvenuta nel 1866, il sistema dei campi trincerati in terraferma.

Un patrimonio di grande valore culturale di proprietà del Demanio. Che adesso dovrà essere restaurato e aperto alla città. Sono gli interventi collaterali alla grande opera che l’ex provveditore Roberto Linetti e l’ex amministratore straordinario del Consorzio, Giuseppe Fiengo, avevano garantito necessari. Ma che adesso sono stati stralciati dal piano delle opere. Eppure nel 2011 l’Europa era stata chiara, Le procedure di infrazione avviate dopo gli esposti di numerose associazioni ambientaliste tra cui Italia Nostra erano stati archiviati a condizione che lo Stato italiano si impegnasse al ripristino, alla compensazione e riqualificazione delle aree compromesse dai cantieri.

In realtà di tutto questo non si è fato nulla. Anche la spiaggia di Santa Maria del Mare, cementificata per installarvi il cantiere per la costruzione dei cassoni del Mose è rimasta com’era. Doveva essere smantellata e riportata alla situazione originaria. Ma qualcuno adesso ha in mente di collocarci anche il porto turistico. Niente restauri dei forti e blocco totale dei lavori all’Arsenale e in laguna.

Adesso l’Istituto italiano dei Castelli chiede al ministero di Giovannini e al Provveditorato veneziano di intervenire: «Quegli interventi vanno avviati». —

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