Torre in viale San Marco a Mestre: "La politica ascolti la città"
Don Natalino Bonazza, parroco di San Giuseppe: serve dialogare sul progetto. No a scontri e divisioni, ciascuno eserciti il proprio ruolo e dica come la pensa
Simone Bianchi
MESTRE. Dialogo. Questa la parola chiave che don Natalino Bonazza inserisce nel confronto tra cittadinanza e politica sul progetto per la torre da 70 metri prevista in viale San Marco. Il parroco di San Giuseppe non prende posizione, come ha ribadito anche attraverso una recente pubblicazione parrocchiale, ma esorta le parti a parlarsi per evitare uno scontro che potrebbe non portare a nulla di concreto. La chiesa di San Giuseppe, oltretutto, è direttamente interessata dal progetto, essendo prevista una miglioria per il sagrato che ne farebbe una sorta di piazza mancante nel quartiere.
Perché ha preferito non esprimere un giudizio personale sulla vicenda?
«Perché la parrocchia, e io stesso, dobbiamo rimanere neutrali. Non per far finta di nulla, semplicemente perché in una parrocchia ci sono tante “anime” e qualsiasi cosa dica, potrebbe essere interpretata in un modo o nell’altro, in maniera errata. Non voglio che ciò accada. Qualcuno avrebbe da ridire».
Cosa consiglia in una situazione come questa?
«Che le parti discutano, si parlino sedute allo stesso tavolo. Ognuno ha le proprie ragioni ma serve una mediazione, non uno scontro aperto. Invito a creare un dibattito serio, in cui tutti possano dire la loro. Questa è la democrazia. Ognuno ha il proprio punto di vista e va rispettato, ognuno il suo ruolo e deve poterlo svolgere. Sia esso un cittadino, un consigliere municipale o comunale, un membro di una associazione».
Quale potrebbe essere il terreno di confronto?
«Sono tra quei parroci che promuovono l’associazione “Dialoghi per la città”, un elemento concreto che si sta sviluppando a Mestre. L’associazione potrebbe essere il “moderatore” di questo confronto, il punto di incontro tra i due schieramenti. Non ne ho parlato con il direttivo e non voglio mancare di rispetto ai colleghi. Potrebbe essere una idea da proporre e al tempo stesso una novità per la città».
Chi vive nella zona interessata dal progetto è più coinvolto di altri.
«Infatti sono coloro che prima di tutto vanno ascoltati e devono poter parlare in un confronto».
Anche perché è un tema ormai su scala cittadina.
«Tutti ce l’hanno potenzialmente sulla testa. L’interesse che ha mosso, anche per alcuni consiglieri comunali, va oltre al raggio territoriale. La parrocchia non deve avere una sua posizione. Non trovo giusto che il parroco prenda una bandiera. Il dialogo include anche il confronto duro, ma la gente si deve poter parlare. Mi fa piacere che sui giornali intervenga chi ha competenza paesaggistica, architettonica e altro ancora».
Meglio un confronto che l’indifferenza?
«Ovvio. Ci fosse solo indifferenza totale, sarebbe deprimente. Serve un confronto sui pro e contro, allo stesso tavolo. Il contributo dei parrocchiani e degli altri cittadini è frutto di un impegno civico».
Lei però rimane un punto di riferimento per il quartiere...
«Me ne rendo conto, ma ognuno deve sentirsi libero di dire la sua, senza strani cortocircuiti. Tutti meritano di esprimere il proprio pensiero, non di dividersi per diversità di opinione sul progetto». —
Simone Bianchi
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