Il pentito: «’Ndrangheta, il Veneto diviso in cellule»
Il racconto di attività e affari «Quali le loro specialità? Le bancarotte, poi c’era il riciclaggio e anche l’usura»
Cristina GenesinCristina Genesin / venezia
Trent’anni di “pagine” criminali snocciolate con la levità di chi scambia due chiacchiere al bar, anche quando racconta decine di omicidi di cui è stato spietato esecutore.
Solo che chi parla è il superpentito Antonio Valerio, uomo dell’ndrangheta fedelissimo di Nicolino Grande Aracri («con lui avevo un rapporto speciale»), e il luogo della sua testimonianza (il collegamento è online da una località segreta) è un’aula del tribunale di Padova dove è in corso al processo ai sette imputati del clan Bolognino, attivo tra il Padovano, il Veneziano e il Vicentino (risiedono a Tezze sul Brenta) fino al 2019.
Un clan organico a quella cosca calabrese che dettava legge a Cutro come in Emilia, Lombardia e Veneto. Sergio Bolognino (imputato numero uno per associazione di stampo mafioso con altri 7 sodali), partecipava alle riunioni del Grande Aracri. Ha rammentato Valerio: «Un giorno ci incontrammo in un capannone e Sergio arrivò con la sua Range Rover che, ci raccontava, aveva preso a noleggio anche Belen. .. Sì Belen Rodriguez, la soubrette».
Bolognino e il Grande Aracri
Il debutto criminale a 16 anni dopo aver perso il padre ucciso nel 1977, l’arresto il 28 gennaio 2015 (è uno degli imputati del processo Aemilia che ha scoperchiato gli affari dell’ndrangheta a Reggio Emilia) e l’inizio della collaborazione il 26 giugno 2017: da allora Valerio, nonostante le condanne, è stato ammesso al programma di protezione. Personalità di spessore criminale, come ha tenuto lui stesso a sottolineare più volte nella deposizione, è uno dei protagonisti della famosa telefonata intercettata il 29 maggio 2012: durante la conversazione con il “collega” Gaetano Blasco, il secondo giorno del sisma emiliano se la rideva in vista degli affari che avrebbe realizzato con la ricostruzione. «Quando i Bolognino dovevano acquisire la fabbrica di legnami in Veneto (la GS Scaffalature di Galliera Veneta) ci trovammo là e si parlò anche di altre società... Il Veneto era strutturato per cellule (della’ndrangheta) come l’Emilia: dal 2004 al 2015 non fummo attenzionati dalla Dda (Direzione distrettuale antimafia)». Tradotto: l’espansione fu costante e senza ostacoli. «I Bolognino? Erano un gruppo autonomo in Veneto dove in diverse città sono dislocati personaggi delle’ndrine come i fratelli Multari a Vicenza e a Verona Francesco Frontera, detto Provolone: ci si rivolgeva a quest’ultimo in caso di contrasti. Chi operava in Veneto, sapeva l’uno dell’altro. E si cercava sempre di tenere un profilo basso... Io non ero presente, ma di sicuro Michele e Sergio Bolognino sono stati a diversi incontri organizzati dal Grande Aracri». Michele Bolognino «si presentava con la carica di “santa” (un grado gerarchico nella’ndrangheta), e i fratelli Sergio e Francesco, detto Franco, brillavano di luce per la proprietà transitiva... significa che se manchi di rispetto a uno, lo manchi anche agli altri». C’era una quota da pagare al Grande Aracri: in gergo’ndranghetista, un “pensiero” al quale non potevano sottrarsi neppure i Bolognino. Racconta sempre Valerio, l’occhio fisso delle telecamere alle sue spalle: «I “pensieri”, si portavano giù (in Calabria) anche in occasione delle festività».
Le attività
I Bolognino «operavano nel recupero crediti come nell’usura collegata alle false fatturazioni: per ogni giro a 8-10 giorni c’era un tasso d’interesse fra l’8 e il 10%. Il che significa che se presto 10 mila euro, ne guadagno 2.400. Così i 12.400 che ho riavuto, li investo di nuovo e i soldi cominciano a moltiplicarsi come i pani e i pesci di Gesù sul Giordano».
Tra le loro specialità «il riciclaggio e le bancarotte fraudolente come G.S. che si doveva svuotare... Erano bravissimi nello svuotare le società. Ma Michele “faceva» anche droga... Sergio trafficava pure con le grosse barche e le macchine». Sempre in silenzio, Sergio Bolognino e il “picchiatore” del clan Antonio Mangone, unici imputati presenti collegati dal carcere. Di nuovo in aula il 26 aprile. —
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