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Fatture false, nero e riciclaggio Ci sono altre società coinvolte

Pivetta e Battain ai domiciliari. Sequestrato l’appartamento di Bonaveno, in centro a Caorle

Francesco Furlan
2 minuti di lettura





Forse è presto per dire se quanto scoperchiato dalla procura di Pordenone e dalla Guardia di finanza di Portogruaro è solo la punta dell’iceberg, ma di sicuro c’è che è destinata ad allargarsi l’inchiesta su evasione fiscale, fatture false e riciclaggio. Un giro d’affari stimato in almeno 60 milioni di euro con il coinvolgimento di imprenditori del centro e nord Italia, faccendieri e intermediari del Veneto orientale che gestivano una rete di società cartiere, e infine esponenti della criminalità cinese di Padova. Dei quattro arrestati a fine marzo con l’accusa, a vario titolo, di riciclaggio ed emissioni di fatture false, tre hanno iniziato a collaborare con gli inquirenti. Due sono Severino Pivetta (66 anni), piccolo imprenditore di Fossalta di Portogruaro, e Michele Battain (46), di Portogruaro – per entrambi la misura cautelare è già stata allentata: dal carcere agli arresti domiciliari – che, interrogati dal procuratore capo della procura di Pordenone, Raffaele Tito, non solo avrebbero ammesso le loro responsabilità, ma avrebbero fornito elementi utili per completare il quadro già ben delineato dalle indagini della Finanza. Gli ulteriori approfondimenti riguardano altre società che si sarebbero rivolte alla coppia per l’emissione di fatture false e la creazione di provviste in nero.

Non solo aziende di bancali e recupero materiali ferrosi, ma anche di abbigliamento, in questo caso gestite da imprenditori cinesi. Elementi utili, negli interrogatori, sarebbero emersi relativamente anche ai passaggi di denaro, con l’individuazione di ulteriori società all’estero che servivano da schermo, per cercare di far perdere il percorso dei soldi.

Questo il meccanismo scoperto dalla procura: una rete di 26 società cartiere con sede all’estero ma di fatto gestite nel Veneto orientale emetteva fatture per operazioni inesistenti fornite ad aziende compiacenti. I soldi finivano in banche dell’Europa dell’Est da dove, con lo stesso meccanismo, partivano con destinazione le banche cinesi. È qui che un referente cinese dell’organizzazione certificava, con una foto spedita via chat qui in Italia, la buona riuscita del bonifico. Con la garanzia dei soldi arrivati in Cina, e trattenuta una percentuale tra l’1 e il 3%, avveniva la fase della retrocessione. I referenti cinesi del gruppo quindi davano il contante a Renzo Bertacco (66 anni, di Cessalto, accusato di riciclaggio, ai domiciliari come da ordinanza di custodia cautelare) che poi lo portava agli altri tre per la restituzione agli imprenditori. Un patto che avvantaggiava tutti: gli imprenditori, con fatture false, abbattevano il reddito e pagavano meno imposte. Oltre a garantirsi una provvista in nero. I cinesi, con i soldi al sicuro nelle banche del loro Paese, potevano liberarsi del contante. Dagli approfondimento degli ultimi giorni risulta che Bertacco – anche lui ha deciso di collaborare – non fosse solo il corriere, ma colui che teneva i rapporti con i cinesi di Padova. L’altro fronte sul quale si sta allargando l’indagine. Per ora l’unico a respingere ogni accusa è Marco Bonaveno (43 anni) di San Michele. Sul fronte dei sequestri preventivi – disposto per 10 milioni di euro – cominciano a vedersi i primi risultati. Nei giorni scorsi infatti proprio a Bonaveno è stato sequestrato un appartamento in centro a Caorle dal valore di circa 270 mila euro. —



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