Il Leone alato e le campane a festa Così Venezia ha ritrovato se stessa
Alle 10.15 il momento solenne dell’inno di Mameli. L’appello del Patriarca: «Troviamo il coraggio di costruire il futuro»
Eugenio Pendolini
Ore 10.15, tricolore e Leone Alato vengono issati sui pennoni di piazza San Marco accompagnati dall’inno d’Italia e dall’inno di Venezia. È il segnale. Il momento è solenne, militari e forze dell’ordine in divisa d’ordinanza accompagnano la cerimonia. Cielo terso, il sole riscalda i masegni, intorno un silenzio che si tocca con mano. Gli sguardi del sindaco Brugnaro e del Prefetto, Vittorio Zappalorto, seguono le due bandiere che salgono lente verso il cielo. Le note rimbalzano tra le Procuratie, la Basilica a fare da sfondo. Dall’alto l’occhio vigile del Campanile. La festa per i 1600 di Venezia ha inizio. Sempre lì, ai piedi del Campanile, poco dopo le 16 si conclude la prima giornata di celebrazioni. E a sancire che si tratta di festa sentita e senza retorica, un applauso scrosciante. Quello dei tanti veneziani accorsi a San Marco per non perdersi l’occasione. Un richiamo più forte delle restrizioni imposte dalla pandemia che da più di un anno ha sconvolto tutto, ma non ha piegato Venezia. È un applauso lungo, sentito, dopo quindici minuti di rintocchi di centinaia di campane a festa.
Non poteva che essere San Marco e la sua Basilica, la cornice del primo giorno di festeggiamenti. Riunite, le une al fianco delle altre, tutte le autorità cittadine e regionali. Seduti in prima fila, al fianco del sindaco e del Prefetto, gli assessori Francesco Calzavara ed Elena Donazzan in rappresentanza della Regione Veneto. E ancora il questore Maurizio Masciopinto, il generale di corpo d’armata Antonio Paparella per i carabinieri insieme al generale Fabrizio Parrulli e al comandante provinciale Mosé De Luchi.
Con il distanziamento imposto dal Covid e accompagnate dai canti liturgici amplificati dai preziosi mosaici bizantini, le parole del Patriarca Moraglia nel corso della sua omelia hanno dato il senso (religioso e insieme laico) di questa celebrazione. Che è simbolica più che storica, come ha ricordato lo stesso Patriarca. Ma non per questo meno significativa. Un’omelia coraggiosa, che si è appoggiata su temi come l’ambiente, i giovani, il confronto con la diversità, le famiglie, la residenzialità, il futuro. Cioè tutte le sfide che impegnano Venezia. Moraglia ha esordito ricordando la storia della città e insieme la sua vocazione. «Venezia da sempre è città aperta all’incontro e allo scambio culturale in cui persone, culture e fedi anche profondamente diverse tra loro si sono incontrate e hanno condiviso cammini comuni nel rispetto delle proprie identità».
Lo ha dimostrato ieri la presenza del Metropolita dell’Arcidiocesi ortodossa d’Italia e Malta, Policarpo, e del Vicario per Venezia di Papa Tawadros II della Chiesa copta, Anba Giovanni. Ma – come ricorderà a fine cerimonia anche il sindaco Brugnaro – la città lo ha dimostrato nei momenti di dolore. Come quando negli attentanti terroristici del 2015 a Parigi fu uccisa la veneziana Valeria Solesin, e piazza San Marco si riempì del dolore e delle preghiere del Patriarca, del rabbino e dell’Imam di Venezia. Dalle radici di quel progetto di città costruita sull’acqua, che si è votata alla Madonna per superare la piaga della peste (“Il Covid del 1600”), Moraglia ha poi volto lo sguardo al futuro. E lo ha fatto citando Seneca: «Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare». Un appello alla Venezia che sarà, alle isole e alla terraferma. «La ricorrenza dei 1600 anni è un’opportunità che ci è offerta per ricominciare affinché la città possa ripartire e ricostruirsi come comunità civile» le parole del Patriarca, secondo cui ora la città dev’essere in grado di diventare laboratorio per affrontare le sfide del futuro: clima, ambiente, creatività. Ma anche la sfida della residenzialità, di una città che ha perso un terzo dei suoi residenti e che deve tornare ad essere abitata nel quotidiano, a misura di famiglia. Ecco perché per il Patriarca serve «un’alleanza tra generazioni, riconoscendo il giusto desiderio di protagonismo dei giovani che non possono essere perenni precari fino alla mezza età». «Il futuro di Venezia – ha concluso il Patriarca – passa anche dal coraggio di saperlo costruire». —
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