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Case di riposo, il personale messo in Cig

Pochi ospiti e bilanci in rosso. Il caso della Sereni Orizzonti di Marcon con 50 “letti freddi”. La denuncia dei sindacati

Laura Berlinghieri
2 minuti di lettura

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Da una parte c’è Uripa, l’associazione delle case di riposo pubbliche, che scrive ad Azienda Zero, chiedendo il blocco del concorso per infermieri, con il timore di assistere all’ennesimo esodo dalle Rsa verso gli ospedali. Dall’altra ci sono le residenze per anziani che, con bilanci in rosso, mettono in cassa integrazione i pur pochi operatori di cui dispongono.

L’ultimo caso riguarda la Sereni orizzonti di Marcon. «Abbiamo appreso dell’attivazione del fondo d’integrazione salariale (Fis) dai lavoratori che hanno firmato le lettere per la cassa integrazione. La procedura prevede che prima debba esserci una comunicazione alle organizzazioni sindacali, eppure non ci è stato detto assolutamente nulla» spiega Dario De Rossi di Cisl Fp, dopo avere fatto una segnalazione all’Inps. Il motivo è sempre lo stesso: il buco nelle casse delle strutture per anziani. Il blocco degli ingressi e l’esitazione di alcune famiglie nel ricoverare i propri cari nelle case di riposo, in questo periodo. Nella struttura di Marcon ci sono infatti più di 50 “letti freddi”, con inevitabili ripercussioni economiche. Perché, nel frattempo, le spese non si sono fermate; anzi, sono lievitate.

La situazione è difficile per l’intera galassia di Sereni Orizzonti. A Cinto Caomaggiore si contano più di 60 posti liberi su 90, sono 26 a Torre di Mosto e la situazione non è migliore fuori provincia, come dimostra il caso della struttura di Conselve, prossima alla chiusura. «Di quanti operatori si tratta non lo sappiamo, non avendo ricevuto alcuna comunicazione. Arriveremo alla situazione paradossale di operatori a tempo indeterminato in cassa integrazione e a tempo determinato in struttura» commenta Dario De Rossi di Cisl. È simile la situazione all’Ipab Casson di Chioggia, dove pure l’iter è stato “condiviso” con i sindacati. Qui a temere per la cassa integrazione è una cinquantina di operatori, perlopiù Oss, ma c’è anche qualche infermiere. La casa di riposo, nelle cui casse si registra un buco da 1,2 milioni di euro, il 15 febbraio ha chiuso un intero reparto (per tre mesi, sembra) e sono una quarantina i posti liberi su 175. Per questo trema la cinquantina di dipendenti, che per ora sta usufruendo delle ferie forzate e di altri tipi di forme di flessibilità.

Ma presto l’escamotage potrebbe venire meno, con lo spettro, paventato, della cassa integrazione per i lavoratori delle ditte in appalto. «Chiediamo un intervento della Regione, perché vengano sbloccati i fondi e le difficoltà non siano scaricate sui lavoratori» commenta Chiara Cavatorti di Cgil Fp. Ma la questione ha trovato anche l’interesse della politica, nella sede del consiglio regionale, per voce della grillina Erika Baldin. Prosegue Cavatorti: «Ci sono alcune Rsa in cui si registra una carenza di personale e altre in cui gli operatori sono in esubero». Alla Casson, la cassa integrazione è già stata richiesta per i cinque dipendenti della ditta di pulizia Legacoop. La situazione delle due Rsa è emblematica di una condizione di estrema difficoltà che accomuna un po’ tutte le strutture, complice anche la chiusura dei centri diurni. Anche in questo caso, con il ricorso alla cig. È il caso, dall’8 marzo 2020, di quattro lavoratori impiegati nel servizio di cure familiari per Fondazione Venezia. «Persone che, nel corso di quest’anno, abbiamo cercato di occupare, facendole lavorare, laddove possibile» precisa il direttore Gianangelo Favaretto. —



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