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Dalla Casa dei Tre Oci al nodo di M9 «L’immobiliare non produce redditi»

Quasi 32 mila metri quadri tra Venezia e Mestre che potrebbero essere ceduti a fondi immobiliari: lo scenario e i dati

Mitia Chiarin
2 minuti di lettura



«L’immobiliare non garantisce reddito», dicono ora alla Fondazione di Venezia. Il Piano votato a maggioranza dal Consiglio generale venerdì scorso ha scatenato proteste per la dismissione della Casa dei Tre oci alla Giudecca più che per le cessioni di parte, o tutto, il polo museale di M9 di Mestre. Per la Casa dei Tre Oci si vocifera di compratori già pronti a firmare, si parla di un fondo americano.

Parte delle grandi mostre di fotografie della sede della Giudecca potrebbero essere spostate al terzo piano di M9, rivela Emanuela Bassetti presidente di Civita Tre Venezie che è perfettamente d’accordo con il presidente Bugliesi sull’andare avanti con la operazione. E molti prevedono un ruolo più importante di Civita nella gestione del museo di Mestre, che fatica a decollare. Nel piano ci sono le azioni di rilancio del museo chiuso dal lockdown e che a giorni vedrà ripartire la didattica con M-Children.

Al rilancio ci lavora il direttore artistico Luca Molinari. Di ristrutturazione dei costi e dei servizi si occupa Fabrizio Renzi, il consigliere di M9 district che, dopo 30 anni alla Ibm, sta operando in Italia e all’estero con varie start up. Una di queste gestisce il museo Federico II di Jesi, tecnologico come M9. Previsto l’insediamento nel chiostro di un polo direzionale e di innovazione.

L’altra azione è il piano di riassetto del patrimonio attraverso «la riduzione della quota di patrimonio immobiliare finalizzata ad accrescere l’investimento finanziario» e quindi la capacità di erogare contributi al territorio, rispettando la mission della Fondazione. Pesano i mancati dividendi di Banca Intesa. E le evidenti difficoltà a gestire un museo su cui sono stati investiti un centinaio di milioni e che a Venezia è visto come «fumo negli occhi».

La parte immobiliare della Fondazione bancaria vale 110 milioni di euro su un bilancio di 400 milioni. I dati più recenti sono dentro la relazione di Tommaso Santini, esperto di finanza immobiliare, dibattuta a metà anno in Consiglio generale con le relazioni degli advisor della Bocconi. L’allora presidente Brunello valutò la vendita dei Tre Oci ma allora il Consiglio generale votò contro. Il portafoglio immobiliare comprende la Casa Tre Oci, valore 6 milioni di euro . La sede di Rio Novo vale quasi 16 milioni di euro. Il Polo M9, controllato da M9 district, vale poco più di 87 milioni di euro, suddiviso tra gli uffici di Brenta Vecchia ( 23 milioni), il chiostro di via Poerio (poco più di 22 milioni e mezzo), il complesso museale di via Pascoli (40 milioni) e la palazzina Meucci che è la prima dismissione attuata, in cessione alla proprietà che intende costruire un albergo a cinque stelle nel palazzo ex Tim. In tutto 31.852 metri quadri tra Venezia e Mestre (superficie lorda) con quasi 24.500 metri quadri di superfici commerciali. Che non rendono. Evidente il caso del distretto di M9 che rispetto alle previsioni di 1,4 milioni di euro di ricavi da locazioni commerciali, nel 2019 ha prodotto entrate pari al 50%. Cause il basso tasso di occupazione e i canoni di locazione «mediamente inferiori ai valori del mercato immobiliare». Tra le proposte di Santini c’era quella di un «conferimento di tutto o parte del Polo M9 ad un fondo di investimento immobiliare».Diversa era la valutazione sulla Casa dei Tre Oci: prendendo spunto dalla cessione al Gruppo Prada di Ca’ Corner, si poteva valorizzarlo. «Una ricerca mirata di investitori istituzionali disponibili a perseguire progetti culturali coerenti con le strategie di Fondazione di Venezia, anche attraverso l’affidamento di incarico ad un operatore specializzato in valorizzazione di immobili di pregio», era la proposta. Per la sede di Rio Novo, oltre ad una destinazione ricettiva, una ipotesi era di affittare gli uffici con una redditività maggiore. Oggi quelle valutazioni tornano attuali se, come dice Bugliesi , la Fondazione «non svende i gioielli di famiglia. Esiste il conferimento di asset in fondi immobiliari o partecipazioni di quote». Nel frattempo i mercati in tempi di pandemia sono cambiati. —

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