In aula i legali di Teso e Marin «Nessun reato: assoluzione»
Contestate punto per punto tutte le accuse nei confronti dell’ex vicesindaco La difesa dell’ex avvocato di Donadio: «Assoluta insussistenza dei fatti»
r. d. r.
mestre
Parole alle difese dell’ex sindaco di Eraclea Graziano Teso e dell’avvocata Anna Maria Marin (per anni legale di Luciano Donadio), entrambi accusati dai pubblici ministeri Terzo e Baccaglini, di favoreggiamento esterno al “clan dei casalesi di Eraclea”, che secondo la Procura avrebbe spadroneggiato per un ventennio sul Veneto orientale. Teso è accusato dalla Procura di essersi dato molto daffare per favorire la vendita dell’hotel Victory (progetto immobiliare sostenuto da Donadio) in cambio di sostegno elettorale; l’avvocata Marin di aver rappresentato anche sodali di Donadio, passando al capo clan informazioni coperte da segreto istruttorio. Ieri la parola agli avvocati delle difese, Daniele Grasso e l’avvocato Girotto per Teso e Tommaso Bortoluzzi per Marin.
«Abbiamo affrontato tutte le problematiche e siamo sereni e tranquilli», commenta Grasso al termine della lunga udienza davanti alla giudice Michela Rizzo, chiamata a giudicare gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato, «che Teso fosse socio dell’hotel Victory è una illazione emersa a distanza di anni, negata in modo categorico da Teso e non è nemmeno contestata nel capo d’imputazione: una condotta che non è stata nemmeno considerata rilevante dai pm, tanto che poi l’hotel è stato venduto con altra trattativa». Per quanto riguarda l’accusa di finanziamento elettorale – aver ricevuto 10 mila euro da Graziano Poles – l’avvocato Grasso dice che non c’è alcuna evidenza di patti, di voto di scambio politico-mafioso: «Abbiamo anche contestato che ci fosse o meno l’associazione e soprattutto consapevolezza da parte di Teso: come facevo a sapere che c’era la mafia ad Eraclea nel 2006-2007? ».
Per quanto riguarda la difesa dell’ex presidente della camera penale veneziana Marin, l’avvocato Bortoluzzi ha parlato per oltre due ore, chiedendo l’assoluzione «per manifesta insussistenza del fatto, di tutti i fatti, partendo dal presupposto che non ha mai dato a Donadio nessuna notizia degna di questo nome e soprattutto nessuna notizia che potesse aiutare ad eludere le indagini». Lei stessa in aula si era difesa spiegando di aver avuto solo contatti professionali e che è il codice di disciplina dell’ordine degli avvocati che obbliga a relazionare non solo con il cliente, ma anche con chi ha commissionato l’incarico. —
r. d. r.
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