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Il processo. Casalesi a Eraclea, Teso interrogato 7 ore: «Donadio? Nulla a che fare con lui»

L'ex vicesindaco Teso è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Per la Procura è l’uomo che avrebbe garantito la copertura amministrativa degli affari di Luciano Donadio e del suo clan

Roberta De Rossi
2 minuti di lettura

MESTRE. Al processo in aula bunker al “clan Donadio”, accusato di aver imperversato per vent’anni con metodi camorristici ad Eraclea e nel Veneto orientale, è stata la giornata dell’ex sindaco e vicesindaco di Eraclea Graziano Teso: oltre sette ore di interrogatorio, di fitto botta e risposta con la giudice Michela Rizzo prima e i pubblici ministeri Roberto Terzo e Federica Baccaglini, poi.

Breve promemoria: Teso è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Per la Procura è l’uomo che avrebbe garantito la copertura amministrativa degli affari di Luciano Donadio e del suo clan. Sindaco uscente, riconfermato nel 2006 con un vantaggio di 266 voti che, secondo la Procura, sarebbero stati portati anche dagli uomini di Donadio.

In particolare - sostiene l’accusa - Teso sarebbe stato in contatto con l’imprenditore Graziano Poles, dal quale aveva ricevuto per la campagna elettorale 10 mila euro, dati da Donadio. E l’ex sindaco si sarebbe molto impegnato per favorire la vendita dell’hotel Victory, per 6,5 milioni, costruito da Poles e Donadio.

Teso ha negato tutto: «Per me Donadio era un problema di ordine pubblico, non volevo aver niente a che fare con lui», ha sostenuto in aula, spiegando di aver solo bevuto un caffè insieme.

«Ha risposto pacatamente, in maniera circostanziata a tutte le domande e contestazioni», raccontano gli avvocati difensori Daniele Grasso e Dimitri Girotto, «certo sapeva chi era Donadio, ma non ha mai avuto rapporti con lui, se non per una concessione che per altro gli ha negato. Anzi, nel 2006 (l’anno dell’arresto di Donadio e Raffaele Buonanno per usura, ndr) ha avviato un progetto di videosorveglianza nel Comune, collegato al 112».

Uno dei punti caldi è dell’inchiesta è il grande impegno profuso dell’allora sindaco per vendere l’hotel Victory.

«Mi sono interessato alla vendita perché temevo restasse uno scheletro incompiuto in città», spiega lui, sostenendo di conoscere Graziano Poles, ma di non essere suo amico. E la battuta di caccia al cinghiale insieme, chiede il pm Terzo? È successo solo una volta, risponde l’ex sindaco, dicendo di non amare la caccia. E la cena di Natale con tutti i lavoratori alla quale Poles lo invitò alle Guaiane? Teso dice che come sindaco poteva capitare di andare a cene del genere. «Avrà rischiato la gotta con tutti gli imprenditori che ci sono», chiosa il pm Terzo. La Procura presenta la testimonianza dell’imprenditore turistico Stefano Vigani, che all’epoca voleva investire con il fratello in un hotel: l’agente immobiliare Maurizio Cerchier gli presentò l’allora sindaco.

«Il Teso mi aveva assicurato in merito alla regolarità di tutte le pratiche», racconta Vigani, «dicendo che il comune di Eraclea era molto favorevole all’apertura del primo hotel a 4 stelle e che in futuro ci sarebbe stato un investimento che avrebbe valorizzato l’intera area.

Hanno cercato di convincermi che il prezzo sarebbe stato un affare, ma io dissi che avevamo una valutazione più bassa del 40% (...) la mia sensazione fu che (...) vi fosse un interesse comune nel portare a termine la trattativa. Non ho mai partecipato a una trattativa privata con la presenza di un sindaco come garante sulle concessioni avute: anche se avessero abbassato l’importo, non avrei probabilmente comunque accettato».

L’ex sindaco ha smentito questa ricostruzione. «Teso aveva capito che la società di Poles era in odor di fallimento e voleva evitare che il Victory diventasse uno scheletro abbandonato», spiegano i legali Grasso e Girotto.



«Non sono amico di Poles e non ho preso soldi da lui per la campagna elettorale», ha in sostanza ribadito Teso in risposta ai pm Terzo e Baccaglini, che gli hanno contestato le dichiarazioni rese da Christian Sgnaolin (ex braccio destro di Donadio) sui 10 mila euro che il capoclan avrebbe consegnato al socio per sostenere l’elezione.

La Procura ricorda che lo stesso amministratore della campagna elettorale (poi assessore della giunta Teso) Antonio Franceschetto ha confermato la donazione. L’ex sindaco dice di non saperne nulla. «Abbiamo depositato anche un’analisi dei risultati elettorali», dicono i suoi legali, «nel 2006 ha rivinto con 288 voti di scarto, riconducibili a precise liste elettorali, non certo ad un’unica persona».


 

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