Camorra a Eraclea. Il clan Donadio e le armi: «Portami la Carolina»
In aula bunker il nipote del boss Antonio Puoti: «Mio zio ci diceva di dire a tutti che eravamo i Casalesi di Eraclea»
Roberta De Rossi
MESTRE
«Mio zio Luciano mi aveva detto: “Se c’è qualche problema, dì che sei dei Casalesi di Eraclea e non preoccuparti. Era la parola da dire ogni volta, l’usava lui e l’usavano tutti. Ma non ho mai sentito parlare di mafia. Diceva a tutti che era amico di Schiavone, ma era un megalomane». E la gente come reagiva? chiede il pm Roberto Terzo: «Stavano zitti e se ne andavano».Dopo il fiume in piena di ricordi e ricostruzioni dettagliatissime della due giorni di interrogatorio di Christian Sgnaolin, al processo per la presunta associazione di stampo camorristico che per vent’anni avrebbe pilotato, usurato, pressato politicamente Eraclea e il Veneto orientale, è la volta delle risposte a monosillabo del nipote di Luciano Donadio, Antonio Puoti, che pure a verbale ha reso molte dichiarazioni, che i pm Terzo e Baccaglini incalzano per ore di domande, tra le proteste degli avvocati.
la pistola “Carolina”
Ha visto armi? chiede il pm.
«Il custode dell’ufficio aveva un borsone nero di Luciano, con dentro due mitragliette e 6-7 pistole. All’inizio lo teneva nel controsoffitto di casa sua, poi in quella del fratello. Un giorno Luciano chiese di farselo portare, per controllare. Era malato d’armi, gli piacevano: se le portava appresso se doveva parlare con qualcuno, minacciare qualcuno. Una volta l’ho sentito dire “Prendi la Carolina” che andiamo a fare un servizio». E chi era la Carolina? chiede il pm: «La pistola, dottore. Ne teneva una nel camino dell’ufficio, una nella cuccia del cane». E Raffaele Buonanno usava armi? chiede ancora la Procura: «Sì, lui diceva “portatemi le ragazze”».
zio padrone
«Sono arrivato nel 2010 a Eraclea, fino al 2015», racconta Puoti, «nel 2012 ho cercato di andarmene, ma mi è stato proibito da Luciano Donadio: ero amministratore di alcune società e dovevo firmare per lui. È mio zio e non mi dava nessun vantaggio, solo la casa ad Eraclea. Loro facevano assunzioni e fatturazioni false». Perché non se ne è andato? chiede la Procura. Puoti gioca la carta della vittima: «Non si poteva ribellarsi perché quando lui si incazzava non capiva più nulla. Mi davano mille euro al mese: i guadagni li dividevano solo Donadio, Sgnaolin e Raffaele Buonanno». Puoti è accusato dalla Procura di aver partecipato - come “braccio operativo” - a più di un’estorsione alle vittime di usura del gruppo o imprenditori costretti a cedere contratti lucrosi.
operai taglieggiati
«Gli assunti per i cantieri erano quasi tutti stranieri, che come vantaggio avevano il permesso di soggiorno. C’erano anche persone con problemi con la legge, che così ottenevano i permessi e i domiciliari. Per l’assunzione dovevano pagare 500 euro subito e 150 ogni mese, per il Cud della dichiarazione dei redditi dovevano dare 200 euro. Se c’era la disoccupazione, metà ce la facevamo dare indietro. Sgnaolin fece anche qualche falsa assunzioni di nascosto: Donadio l’ha scoperto e l’ha picchiato in ufficio»
forze dell’ordine e vendette
Molte minacce, qualcuna portata a segno. «Donadio aveva avuto un contrasto con un vigile che gli aveva fatto la multa: lui era andato alla stazione dei vigili e gli diede due sberle», racconta Puoti, «poi l’ho sentito parlare in ufficio con un napoletano e un albanese per andare a casa di chi l’aveva fatto arrestare per usura, fingere una rapina, legarlo e fargli del male». La lite al Muretto: «Il buttafuori ci fece uscire e Donadio lo fece licenziare».
punto Snai di Eraclea
«Serviva a riciclare il danaro: compravano i biglietti vincenti pagando in contanti e poi riscuotevano le vincite. Era gestito da Adriano Donadio, che era sotto gli ordini del padre. Un giorno ho visto acquistare un biglietto per 18 mila euro».
rogo di camion
«Il curatore fallimentare di una società di trasporti intestata a Tommaso Napoletano si era preso tutto», racconta ancora Puoti, «e Donadio ha fatto bruciare i camion». —
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