Laguna a rischio per gli scavi e l’erosione E il Piano morfologico è fermo da 25 anni
Si scava invece di ridurre le profondità come previsto dalla legge Speciale. Boato. «Emergenza legata alle scelte sul porto»
Alberto Vitucci
Sos laguna. C’è una grande opera di cui nessuno parla più da 25 anni. Forse la più importante, capace di portare soldi e lavoro. E soprattutto di mettere al riparo l’ambiente lagunare e Venezia dai guasti causati nel Novecento e dalle incognite future legate al cambiamento del clima. La grande opera è il Piano Morfologico. Ovvero, gli interventi necessari per il «riequilbrio» di un ambiente maltrattato e in via di disfacimento. Ogni anno la laguna perde in mare quasi un milione di sedimenti. Barene che si sbriciolano, terre emerse inghiottite dall’acqua. Riduzioni dei fondali mai attuate, scavi che continuano per far passare le navi. La laguna rischia la distruzione. E restano inascoltati gli allarmi lanciati da esperti e scienziati.
Ma cos’è il Piano Morfologico? Previsto dalle Leggi Speciali già negli anni Settanta e Ottanta proprio per cominciare a invertire le cause del degrado e mettere in salvo la laguna. Per gli esperti, è l’uovo di Colombo: più si scavano i canali, più l’acqua acquista velocità e l’erosione aumenta. Se ne vanno così anche le difese contro l’acqua alta. E con i nuovi mutamenti climatici si è visto il 12 novembre scorso che cosa l’acqua è capace di fare.
Il Piano Morfologico in vigore è ancora quello dei primi anni Novanta. Elaborato dal Magistrato alle Acque presieduto da Felice Setaro. Prevedeva tra le altre cose la riduzione della profondità nel canale dei Petroli, l’interramento del canale artificiale Vallesella. E lo studio per eliminare l’autostrada del mare, il canale Malamocco Marghera arrivato oggi a 17 metri di profondità contro i 12 previsti dal piano. «In realtà si sta facendo tutto l’opposto», denuncia il professor Stefano Boato, docente Iuav e tra i massimi esperti di dinamiche lagunari, «si è abbandonata la prescrizione della prima Legge Speciale di portare le petroliere fuori dalla laguna e di ridurre le profondità alle bocche di porto. Tutto è legato anche alla portualità. Il rifiuto di pensare a soluzioni di nuovi terminal fuori dalla lagune impedisce anche di trovare soluzioni per ridurre le profondità».
Una strada che secondo Boato è piuttosto semplice. Proprio lui, insieme ai professori Maria Rosa Vittadini e Carlo Giacomini con la consulenza tecnica dell’ingegnere Vincenzo Di Tella, ha donato al ministero il progetto di massima per l’avamporto galleggiante. Banchine rimovibili da utilizzare al Lido davanti all’isola del Mose come ormeggio provvisorio, in attesa della soluzione definitiva, off shore. «Ma non è mai stata considerata», aggiunge, «e invece si va nella direzione esattamente opposta».
Inascoltati anche gli allarmi lanciati da Luigi D’alpaos, professore di Idraulica all’Università di Padova, sui danni portati alla laguna dal traffico delle grandi navi e dalla mancata manutenzione dei canali.
La soluzione doveva essere contenuta nel nuovo Piano morfologico. Elaborato dal Corila, il Consorzio di recerca consulente del Consorzio Venezia nuova e dell’ex Magistrato alle Acque. Ma la proposta è stata bocciata dal ministero per l’Ambiente nel 2008, dopo una Valutazione strategica negativa. Adesso bisogno riscriverlo, e il Corila è nuovamente al lavoro. «Ma si dovranno coinvolgere le istituzioni pubbliche», dice Boato, «come l’Agenzia di Bacino che per legge deve elaborare un Piano di riequilibrio della laguna ogni sei anni. Scadono tra poco».
L’Autorità di Bacino, ricorda Boato, la competenza e la responsabilità giuridica del Piano per la laguna, del Bacino scolante e del mare antistante». Legge europea, Codice dell’Ambiente, Direttiva Acque. Ma tutto è immobile. Intanto si parla di Mose, di Agenzia e di manutenzioni. Mai di laguna. —
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