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Stangata a Vazzoler Undici anni e 8 mesi per il faccendiere con attico a Jesolo

Chiuso il processo di primo grado all’imprenditore accusato di riciclaggio internazionale per 117 milioni

Cristina Genesin
2 minuti di lettura

Cristina Genesin / Jesolo

Abile incantatore, formidabile narratore e spudorato bugiardo». Ancora, «lusingatore, seduttoreb e furbo». Tuttavia, secondo il pm Roberto D’Angelo, c’è un’altra parola che sintetizza tutta la personalità dell’imputato-faccendiere Alberto Vazzoler, 60enne veneziano di Musile di Piave, padovano d’adozione e noto nel Trevigiano per affari. Ed è la parola «delinquente» pronunciata dal magistrato con netta sottolineatura ieri, come gli altri aggettivi, al termine della sua requisitoria davanti al tribunale di Padova. Una requisitoria che, a conclusione del processo su un riciclaggio transnazionale da oltre 117 milioni euro, ha fatto incassare all’imputato una pena pesantissima: 11 anni e otto mesi di reclusione. Una pena superiore ai 10 anni e sei mesi reclamati dal pm.

La sentenza. Vazzoler è stato pure condannato al pagamento di 33 mila euro di spese processuali, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici mentre è stata disposta la confisca di 5. 835. 019, 64 euro tra soldi e beni, intestati a prestanomi, come l’attico di superlusso nella torre Mizar in piazza Drago a Jesolo (quello dove, per sbaglio, la fidanzatina Silvia Moro bruciò in forno 42 mila euro cucinando lo strudel) e l’attico in piazza dei Frutti a Padova; una Maserati Levante e una Jaguar XK; un’imbarcazione Primatist Abbate e una Sunseeker. Non concessa l’ulteriore confisca di due milioni e 600 mila euro. Entro 90 giorni la motivazione. La sentenza è stata letta dalla presidente del tribunale Nicoletta De Nardus, ricusata più volte al termine di un processo durato oltre 25 udienze, con un imputato incontenibile negli interventi verbali e a tratti farsesco tanto che, negli ultimi due mesi, ha fatto di tutto per evitare “il giorno del giudizio” tra sbandierati sospetti di contagio da Covid-19 smentiti dai tamponi, febbri inspiegabili, cambi nel collegio difensivo costanti fino ad affidare la requisitoria finale a un legale catapultato in aula all’ultimo minuto nella speranza di un ulteriore rinvio. Alla fine Vazzoler ha dato solo l’impressione di un disperato che temeva la condanna, puntualmente arrivata per associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio transnazionale.

Intercettazioni e spyware.

«Il dentista? L’ho sempre fatto per scherzo», rideva Vazzoler (intercettato) con la fidanzatina trevigiana Silvia che, ora, rischia pure grosso (è sotto inchiesta per gli stessi reati insieme alla padovana Elena Manganelli Di Rienzo). E sono le intercettazioni il “boomerang” che ha ferito a morte il faccendiere oltre a uno spyware infilato nel suo pc, un software grazie al quale l’attività online della “banda Vazzoler” è stata seguita dagli investigatori, il Nucleo di polizia economico-finanziaria di Padova, guidata dal tenente colonnello Vittorio Palmese. Comprese le mail che venivano scambiate tramite l’ingegnoso sistema di pescare i documenti condivisi o i messaggi reciproci nella cartella bozze grazie a una password nota ai “soci” delle operazioni illegali. Un sistema “carbonaro” come lo ha bollato il pm che ha rammentato alcuni Vazzoler-pensieri: «Non è facile incul... il Vazzoler». In carcere aveva confessato («Mi riconosco colpevole di tutto...») salvo poi correggere il tiro al processo («Ho ammesso il riciclaggio indotto dal mio avvocato»).

Il sistema. Ecco il sistema Vazzoler: a lui si rivolgevano evasori che, in Italia, non avevano aderito allo scudo fiscale (voluntary disclosure). Come usufruire, allora, del tesoretto esentasse accumulato in una Svizzera che non era più paradiso fiscale? Il cliente faceva un giroconto su una banca di Bratislava o Praga. Tramite sue società a Dubai, Vazzoler emetteva fatture giustificate dall’acquisto di oro e inviava il danaro in una banca nella città dell’Emirato.

Qui la Manganelli prelevava la somma, spedita al cliente in Svizzera per mezzo di un corriere di trasporto valori. Sono state emesse pure fatture a favore di alcune cooop di servizi per creare false compensazioni dell’Iva. Alla fine è arrivata una giusta condanna sulla base delle prove assunte. –

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