In evidenza
Sezioni
Magazine
Annunci
Quotidiani GNN
Comuni

Delrio: più rispetto per i presidenti È un tiro al piccione mediatico e politico

L’ex ministro, “padre” della riforma portuale, interviene sui porti di Venezia e Trieste. «Centralità del governo»

Francesco Ferrari
4 minuti di lettura

Francesco Ferrari

«Credo che i presidenti meritino più rispetto, per il ruolo che ricoprono e il lavoro che svolgono. Questo tiro al piccione mediatico e politico lo trovo invece disdicevole per un Paese serio».

Graziano Delrio, “padre” della legge di riforma portuale, non appartiene certo alla scuola politica di chi usa alzare i toni. Ma di fronte alle notizie che arrivano da Trieste (dove il presidente Zeno D’Agostino è stato destituito dall’Anac) e Venezia (dove il porto rischia di essere commissariato dopo che Regione e Città metropolitana hanno bocciato il bilancio) si concede uno strappo alla regola della pacatezza. Mettendo da parte le polemiche interne al Pd, Delrio torna a indossare per un giorno i panni da ministro dei Trasporti: difende la riforma del 2016 («di più non si poteva fare») ma ricorda che quel testo deve essere «implementato nel tempo» se si vuole «davvero far funzionare i porti».

I recenti casi di Trieste e Venezia hanno riacceso un faro sulla difficoltà di gestione dei porti italiani. Crede che lo spirito della sua riforma, frutto di un percorso decisamente complicato, sia stato in qualche modo tradito in questi anni?

«Non parlerei di tradimento. Il tema è più complesso, riguarda l’architettura costituzionale del Paese. Piaccia o no, portualità e infrastrutture strategiche, anche di rilevanza nazionale, furono incluse nel 2001 nel nuovo Titolo V tra le materie di competenza concorrente Stato-Regioni-enti locali. Come si ricorderà, già una mia prima proposta del 2015 che prevedeva solo otto Autorità di sistema portuali e un più snello e centrale modello di governance, fu impugnata da alcune Regioni e cassata dalla Consulta. Qualsiasi ulteriore riforma, è la mia idea, dovrebbe ripartire da una serena valutazione del Titolo V. Peraltro, a 20 anni dalla sua entrata in vigore mi parrebbe anche doverosa…».

Uno degli obiettivi della riforma era rendere più autorevoli e indipendenti i presidenti. Nei fatti, oggi si stanno dimostrando più vulnerabili e in molti casi più soggetti a interferenze politiche. Che cosa si è sbagliato, se è sufficiente bocciare un bilancio (come a Venezia) per commissariare un porto?

«Nella legge 84/94 il presidente era sostanzialmente mediatore tra interessi locali. Al ministro arrivava una terna di nomi per ogni porto (indicata da Regione, Provincia, Comune, Camera di commercio) e tra questi lo stesso ministro sceglieva. Tornando alla sua domanda: con la nuova legge si è inteso rafforzare il legame presidente-governo, prevedendo che sia il ministro a scegliere il presidente, offrendo poi il suo candidato al concerto della Regione. Nell’attuale assetto costituzionale è il massimo che si poteva e che si possa fare. Il senso era, ed è: il presidente rappresenta e attua, nel suo scalo, la politica portuale nazionale, dentro un quadro di coordinamento dell’intero sistema portuale garantito dalla Conferenza nazionale».

In questo contesto l’ambiguità della natura giuridica dei porti non semplifica la situazione.

«Il tema non mi ha mai appassionato molto. Esistono pubbliche amministrazioni che funzionano e imprese private che non funzionano, e viceversa. Io credo nel modello che abbiamo. I porti sono linee di confine dello Stato: custodiscono i depositi energetici costieri strategici e in molti casi anche le basi militari. Dai porti dipende l’approvvigionamento di materie prime, funzione commerciale vitale di interesse generale per un Paese che non ne ha. A me pare giusto che tutto ciò sia sotto l’egida di una pubblica amministrazione centrale dello Stato. Tra l’altro non capisco la Spa pubblica, fermo restando l’attuale Titolo V, quale vantaggio avrebbe rispetto ai problemi principali che i porti vivono: escavi, dragaggi, tempi delle opere pubbliche, approvazione dei piani generali... Una Spa pubblica non godrebbe di extraterritorialità giuridica o amministrativa. Né potrebbe ignorare leggi ambientali, urbanistiche o il Codice degli appalti, essendo la maggioranza eventualmente comunque posseduta da Regioni o Comuni. Mi pare una discussione un po’ ideologica, quella sulla natura giuridica delle Authority».

Allora come si può intervenire oggi per dare continuità alla sua riforma?

«Non me la sento di dare consigli ai miei successori. Come diceva De André: i consigli li si inizia a dare quando non si può più dare cattivo esempio. Scherzi a parte, mi auguro solo che la portualità resti sempre centrale nell’agenda politica del governo. Da essa passano molte delle chance di ripresa. Io continuo a valutare come buona la riforma dei porti: dota il governo di strumenti di coordinamento e programmazione di strategie e investimenti, e che consente alle Adsp di ragionare e operare su sistemi logistici di area vasta. Quello che Zeno D’Agostino stava realizzando a Trieste – tra porto, retroporto, interporti e punto franco – ne è l’esempio. Nella stessa logica varammo, insieme al ministro De Vincenti, le Zes e le Zls. Certo, poi la legge rappresenta il frame, la direzione di marcia, mette a disposizione una “cassetta degli attrezzi”. Giorno dopo giorno, dando continuità, e con la rigorosa e silente buona amministrazione quotidiana, le leggi si applicano e implementano».

Cosa pensa, nel caso specifico, del rapporto fra Anac e Adsp?

«Non conosco i singoli casi, non posso esprimermi. Noto solo come non ci sia un solo presidente accusato di rilievi penali o dolosi. Noto anche che questi presidenti hanno gestito una stagione complessa: l’entrata in vigore della riforma, l’accorpamento delle vecchie Autorità portuali, tre diversi governi in 3 anni, ora la crisi Covid con un pesante impatto su traffici e bilanci degli enti. Tutto in un quadro amministrativo e normativo caotico e spesso contraddittorio, stratificato negli ultimi 25 anni. Meritano più rispetto, per il ruolo che ricoprono e per il lavoro che svolgono. Questo tiro al piccione mediatico e politico lo trovo, invece, disdicevole per un Paese serio. Dobbiamo tutti dare una mano affinché questi hub logistici, decisivi per il Paese, possano funzionare al meglio nell’interesse dell’economia nazionale».

Partendo dalla sua riforma?

«La riforma dei porti, come l’intero Piano strategico nazionale della portualità e della logistica e come Connettere l’Italia, sono stati frutto di un gran lavoro, peraltro in raccordo costante con organizzazioni di categoria e sindacati. Attrarre investimenti e semplificare le procedure erano i due principali obiettivi. Sono certo ancora oggi che il Dlgs ne agevoli il perseguimento e che abbia già conseguito molti risultati: penso alla cessata proliferazione di progetti e finanziamenti per improbabili nuovi terminal contenitori. Ma abbiamo anche avviato il rilancio dei porti di Taranto e Gioia Tauro, incardinato il Progetto hub Ravenna, accelerato i lavori a Vado, approvato un piano per le crociere a Venezia e istituito il “Sudoco” che ancora aspetta i provvedimenti attuativi». —

© RIPRODUZIONE RISERVATA



I commenti dei lettori