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Cappuccino e croissant a Venezia e Mestre. Voglia di normalità nei bar aperti

Bicchierini di plastica e servizio alla porta. «Non è facile ma ci proviamo». La Confesercenti: «Così i commercianti si dimostrano parte della comunità»

Laura Berlinghieri
2 minuti di lettura

MESTRE

«Si suona il campanello del locale. Noi usciamo, muniti di guanti e mascherina, prendiamo le ordinazioni, rientriamo, prepariamo e portiamo caffè e brioche all’esterno, in un pacchetto asettico e super disinfettato. Anche il pagamento avviene all’esterno: in contanti o tramite pos. Tutto nel massimo rispetto della sicurezza nostra e dei clienti». È il ritorno alla normalità raccontato da Giovanni Dal Poz, titolare del Grand Central di via Piave. «Lavorare in queste condizioni non è facile, ma i clienti non ci stanno lasciando soli. Ne contiamo una quarantina ogni giorno, anche grazie agli uffici che si stanno ripopolando. Vengono qui per iniziare la giornata con il rito del caffè al bar». È un parziale ritorno alla normalità che ha il profumo dell’aroma più amato dagli italiani. Un primo passo che, se ancora non conduce i clienti a sedersi ai tavolini, consente loro almeno di avvicinarsi a saracinesche che sono nuovamente aperte, regalando l’immagine di una città vitale come non si vedeva da mesi.

La tendenza, in quasi tutti i locali, è quella di portare il sacchettino all’esterno, proprio per non dare adito ad alcuna polemica. «Le persone potrebbero entrare nel bar uno alla volta, ma noi preferiamo servire direttamente all’esterno, per limitare qualsiasi tipo di contatto» spiega Filippo Foschini, uno dei tre titolari del Verde Bistro in calle del le rasse, a Venezia. «Al mattino ci sono soprattutto i nostri clienti abituali. Non sono molti, una trentina ogni giorno, ma ne vale comunque la pena. C’è chi passa da noi prima di andare al lavoro, chi fa la pausa caffè durante una passeggiata. E poi abbiamo aperto anche la sera, sempre con il take away: un servizio che cresce giorno dopo giorno». Il tenore dei commenti è omogeneo, ma c’è chi vede il bicchiere mezzo pieno e chi mezzo vuoto.

«Abbiamo lavorato un decimo rispetto al solito», spiega il titolare del bar Sfizio, a Mestre, in via Allegri. «Non c’è gente per strada: in molti sono ancora in smart working, le chiese, i musei, l’M9 e i negozi di abbigliamento sono chiusi. Le mamme sono a casa con i bambini. E poi bere il caffè in un bicchiere di carta non piace». Luci e ombre della riapertura dei locali. Un valore più simbolico che economico, sottolinea Maurizio Franceschi, direttore di Confesercenti Venezia: «L’apertura per l’asporto è un piccolo palliativo, non certo la risposta a una situazione di enorme difficoltà economica. È un modo che i locali hanno per dire “Ci siamo e siamo aperti. Forniamo un servizio”. È un’attività sociale che permette agli esercenti di mostrarsi parte della comunità». Ed è senz’altro parte della comunità la pasticceria Dolce vita a San Polo.

Spiega Vanessa Gomirato: «Noi apriamo alle 5 del mattino per chi lavora al mercato del pesce. Ogni giorno notiamo che c’è sempre più movimento, ma la situazione rimane critica. La gente non può consumare il caffè al bar: è costretta a uscire e portarlo a casa, per poi berlo freddo. Tanto vale prepararselo da soli in cucina». La voglia degli esercenti è voglia di normalità. «Ripartire? Ma magari. Io non vedo l’ora di riaprire», dice pieno di entusiasmo Foschini del Verde Bistro. «Io riaprirei anche domani. Con tutte le precauzioni possibili, certo. Ma non vedo l’ora». C’è bisogno di un po’ di ottimismo, anche se non è facile», dice Cinzia Serantoni del Mercato del Caffè di via Poerio. Per un lento ritorno alla normalità. —


 

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