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Sulla fusione tra i Comuni solo Cereser è d’accordo

Contrario l’assessore regionale agli enti locali Forcolin: «Ci vuole un referendum con un quorum del 50%». Susanna, Finotto e Falcier esprimono il loro no

Giovanni Cagnassi
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Giovanni Cagnassi / San DonÀ

Fusione dei Comuni, la proposta di Confcommercio è condivisa solo dal sindaco di San Donà, Andrea Cereser. Il presidente della Confcommercio mandamentale, Angelo Faloppa, ha rilanciato l’idea di un unico ente tra San Donà, Musile, Fossalta e Noventa di Piave. Un’idea che risale agli anni ’80 e ’90 e che a suo tempo vide tra i promotori l’ex vice sindaco di San Donà, Mario Pettoello.

È sempre rimasta sulla carta, oggetto di dibattiti appassionati che hanno suscitato molte perplessità più che facili entusiasmi. E al massimo sono state prese in considerazione unioni di servizi che poi sono state attuate ad esempio per la polizia locale. Faloppa, assieme al delegato Ascom di Jesolo, Alberto Teso, ha snocciolato anche i dati sui possibili finanziamenti e risparmi nei costi oggi divisi tra i quattro Comuni sull’asta del Piave. Ma il primo a manifestare dei dubbi è il vicegovernatore del Veneto e assessore agli enti locali, Gianluca Forcolin.

«La legge regionale oggi per le fusioni prevede un referendum con quorum del 50 per cento», spiega, «e non è certo facile da raggiungere come ci conferma la storia. Non sono contrario a priori alla fusione, ma questa sembra una proposta lanciata per suscitare un dibattito e senza concretezza. Il decreto legge 78 del 2010 prevedeva fusioni di Comuni sotto i 5 mila abitanti. Noi avremmo Fossalta di Piave, che mai ha pensato di farlo».

La sindaca di Musile, presidente della conferenza dei sindaci del Veneto orientale per la legge 16, Silvia Susanna, è la prima contraria senza esitazioni: «I finanziamenti e risparmi sono tutti da vedere. E poi non possiamo certo licenziare dei dipendenti pubblici. Non credo che sia una proposta realizzabile. In termini di efficientamento non avremmo benefici. I nostri Comuni funzionano bene e non vedo perché dovremmo cambiarne l’assetto». E anche Manrico Finotto, sindaco di Fossalta di Piave, non è convinto della fusione. «Noi abbiamo adottato una serie di convenzioni, per polizia locale, servizi sociali e altro», ricorda, «la fusione è molto diversa e non ci sono le condizioni a mio avviso per pensarci».

Cereser è, invece, convinto di questo percorso da intraprendere seppure in salita. «La fusione è fondamentale per il nostro futuro», spiega ils indaco di San Donà, «senza alcuna perdita di identità dei Comuni. Mi spiace che altri sindaci non siano d’accordo con questa visione moderna nel segno dell’efficienza, il risparmio dei costi e la possibilità di accedere a finanziamenti».

Contrario alle fusioni senza se e senza ma è anche l’ex deputato Luciano Falcier, promotore di una provincia del Veneto Orientale. «Il problema dei soldi non esiste», dice Falcier, «è un alibi, un trucco per concentrare poteri e funzioni, contro gli organismi elettivi. Ve ne sono fin troppi, mancano idee, coraggio e capacità di spenderli bene. Nel merito non si parla mai di migliorare i servizi, ma solo di ridurre i costi. Un comune di 5.000 abitanti per sindaco, giunta e consiglio comunale spende circa 35.000 euro annui lordi e gli amministratori sono a disposizione, come in un ospedale, 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana. Se fai fusioni, ben diverse da associazioni o unioni, che sono opportune e spesso necessarie, dovrai mettere almeno un dirigente ulteriore che viene da lontano, fa 5 giorni alla settimana, chiude alle 18 e costa almeno 100.000 euro l’anno». —

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