L'appello di Balich per Venezia dopo il Coronavirus: "Ora è il momento di pensare ai giovani"
Idee per la Venezia del terzo dopoguerra, l'organizzatore di grandi eventi parla della sua città: "Va cambiato il modello: meno turisti, maggiore qualità"
Enrico Tantucci
VENEZIA. «Stiamo vivendo un “horror movie” che coinvolge non solo Venezia e l’Italia, ma tutto il mondo, legato all’emergenza Coronavirus e al blocco delle attività. Noi ad esempio siamo alle prese con il rinvio dei Giochi Olimpici di Tokyo del prossimo anno, per cui organizzeremo la cerimonia di apertura e di chiusura. Ma, una volta usciti dall’emergenza, questa deve essere per Venezia l’occasione per ripensarsi come città, per trovare una nuova residenza e uscire da questa deriva turistica che fa paura e la sta massacrando».
E’ schietto e diretto, com’è nel suo stile, un veneziano di successo - “extra-moenia” ma non troppo, perché il cuore è sempre in laguna - come Marco Balich. Che perennemente in giro per il mondo perla sua attività di organizzatore di grandi eventi, non perde però mai di vista la sua città, per cui è sinceramente in pena, al di là dei tormenti del virus. Balich, non è un giudizio tenero sullo stato della sua città.
«E’ la realtà per chi non voglia fare finta di non vederla. Venezia non è questa, non è stata creata dalla repubblica con i suoi commerci, le sue relazioni, il suo peso culturale per diventare un parco tematico turistico per masse che hanno sventrato completamente la città, spolpandola con la pure rendita di posizione. Questo virus è un fatto tremendo, ma avendo azzerato tutto, può rappresentare davvero per Venezia un’occasione di rinascita. Ora la città, pur nella sua desolazione, è tornata al suo aspetto reale, splendido. Da questo bisogna ripartire per costruire un modello diverso, che la ripopoli di persone, di giovani coppie, di chi vuol venire qui per godere di questa città e non solo per sfruttarla».
Senza più turismo?
«Il turismo naturalmente ci sarà e ci dovrà sempre essere. Tutti, appena possibile, vorranno tornare a vedere una città unica, meravigliosa come Venezia. Ma è la città che deve prepararsi ad accogliere un turismo diverso, guardando non solo ai numeri, ma alla qualità. Penso ad esempio a quello che ha fatto a New York un sindaco come Rudolph Giuliani, quando la città era invasa dai pornoshop, stabilendo che non ce ne potesse essere più di uno per quartiere. Perché non è possibile ad esempio che anche a Venezia il sindaco stabilisca che non ci può essere più di un negozio di souvenirs-paccottiglia ogni cento metri? Perché non è possibile fissare dei limiti? E questo vale anche per i miei concittadini veneziani, in molti casi non si stanno comportando bene con la città».
A chi si riferisce?
«Penso ad esempio a chi dispone di più alloggi vuoti e li affitta tutti ad uso turistico attraverso Airbnb per fare reddito. Capisco che un unico alloggio disponibile possa essere affittato ai turisti, se si ha bisogno di guadagnare qualcosa, ma gli altri dovrebbero essere dati in affitto a giovani coppie a un prezzo calmierato, e il Comune dovrebbe vigilare. Venezia ha necessità assoluta di ritrovare giovani residenti, questa deve essere una priorità assoluta per qualsiasi Amministrazione. Prima di tutto bisogna offrire loro la disponibilità di alloggi a un prezzo umano e creare le condizioni perché possano vivere e lavorare qui».
Come si fa, turismo a parte?
«I Governi devono riconoscere a questa città un ruolo che può ricoprire naturalmente: quello di sede di grandi istituzioni internazionali legate alla ricerca, alla cultura, all’ambiente, alle relazioni internazionali. Questo porterà naturalmente anche nuovi residenti, creerà occasioni di lavoro per giovani qualificati e innescherà anche quel processo produttivo che permetterà di aprire non solo botteghe turistiche a basso costo e bassa qualità, ma anche negozi di vicinato, drogherie, di servizi e artigianato legato appunto alla popolazione residente».
Non è facile.
«Ma bisogna assolutamente provarci e se non lo si fa ora, non lo si fa più, è un’occasione unica, imposta da circostanze eccezionali anche se drammatiche, che difficilmente si ripeteranno in questa forma. Ricordo il mercato di Rialto di quand’ero ragazzo, pieno di vita e vederlo ridotto così, ai minimi termini, mi fa stringere il cuore. Con i banchi di frutta gestiti da cingalesi a cui sono stati affittati da veneziani per andarsi a fare una vacanza alle Maldive, come ha scritto qualcuno. Il problema è anche questa volontà di impegnarsi che è venuta meno a molti veneziani, da quelli delle grandi famiglie di un tempo a quelli che la sfruttano ai livelli più bassi, sempre in nome della pura rendita di posizione».
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