La zia di Cristina Pavesi «Ora tocca a Maniero pentirsi dei suoi crimini»
Alessandro AbbadirCAMPOLONGO. «Attendiamo ora, dopo il pentimento dell’ex boss Gilberto Sorgato che ha pagato il suo conto con la giustizia, come famigliari di Cristina Pavesi, il pentimento dell’ex boss della mafia del Brenta Felice Maniero. Se Maniero si pentirà realmente per quello che ha fatto e il male che ha procurato, quando uscirà dal carcere siamo anche pronti ad incontrarlo». A dirlo è Michela Pavesi, zia di Cristina, la giovane che il 13 dicembre del 1990 stava tornando dall’Università di Padova quando a Barbariga di Vigonza il suo treno ha incrociato il diretto Venezia-Milano, preso di mira dalla banda Maniero. Secondo i piani dei banditi il convoglio aveva un grosso bottino di denaro e oro, che nella realtà era molto modesto. La banda ha fatto esplodere la saracinesca del treno portavalori, l’esplosione però ha investito il vagone del treno su cui era seduta Cristina, che è morta sul colpo.
Domenica scorsa uno dei protagonisti di quell’assalto, Gilberto Sorgato, all’epoca fedelissimo del capo della mafia del Brenta, ha voluto incontrare i famigliari di Cristina durante la messa commemorativa che si è tenuta nella chiesa di Campolongo e ha abbracciato proprio la zia Michela. Sorgato è uno dei “vecchi” della banda di Maniero: ha accompagnato il capo nelle imprese criminali più importanti e clamorose. La zia di Cristina svela che era a conoscenza della presenza di Sorgato domenica a Campolongo. «Era da tempo», spiega Michela Pavesi, «che Sorgato ci aveva contattato proprio grazie a degli articoli usciti sulla Nuova Venezia la scorsa estate, quando avevamo lanciato un appello cercando testimoni per ricostruire quel che accadde quel pomeriggio del dicembre 1990. Sorgato domenica ha dimostrato il suo pieno pentimento per quello che è accaduto. Adesso è ora che anche Maniero, che di tutto quel male è stato uno dei principali, o forse il principale responsabile, si pentisse veramente per la morte ingiusta di mia nipote Cristina e si pentisse dei tanti crimini che ha commesso». —
Alessandro Abbadir
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