L'imprenditore: «I Casalesi si sono infilati il Veneto in tasca»
Arena, braccio destro di Donadio, al sostituto procuratore Roberto Terzo: «Hanno influenza anche nella Fincantieri attraverso Sgnaolin»
Carlo Mion
ERACLEA. «È vero che esistono i “casalesi” nel Veneto, gli investigatori hanno ragione su questo... I “Casalesi” il Veneto se lo sono infilato in tasca. Con ciò intendo dire che oramai la gente non si rivolge ai carabinieri per risolvere un problema ma va da Giacomo Fabozzi o da Luciano Donadio; questi hanno influenza anche nella Fincantieri mediante lo Sgnaolin. Nel 2011 ho avuto la disgrazia di conoscere Luciano Donadio tramite Erminio Taffuri mentre lavoravo con la mia “A. G. Costruzioni”».
Girolamo Arena per diversi anni è stato molto vicino a Donadio. È imprenditore arrivato dal Sud per lavorare in Veneto orientale e conosce Luciano Donadio perché un giorno viene avvicinato dal boss e da alcuni suoi “collaboratori”.
Arena pretende il pagamento per lavori fatti a un “protetto” dai “casalesi di Eraclea”, che non paga. Lo incontrano per convincerlo a desistere di richiedere il denaro. Finisce che Donadio prende in simpatia Arena e obbliga l’altro a pagare il debito. Lo conquista affidandogli piccoli lavoretti e Arena rimane accanto al boss fino al 2018. Al pm racconta: «Non nego che ero disposto a fare qualsiasi cosa per lui almeno fino all’anno scorso (2018 ndr), quando ho cominciato a nutrire dubbi sulla sincerità e sul carattere disinteressato del suo rapporto verso di me».
Dopo l’arresto del febbraio scorso, Arena inizia a parlare con il pm Roberto Terzo, titolare dell’inchiesta che ha portato in carcere il sindaco Mirco Mestre e rischia di dare a Eraclea il triste primato di primo Comune veneto sciolto per mafia. Arena ammette le sue responsabilità e racconta episodi di cui è stato protagonista e conversazioni. Parla degli affari sporchi di Donadio: estorsioni, usura, armi e spaccio di droga e dice che all’inizio «per me e mia moglie all’inizio era come un secondo padre. Quando lui chiamava, io correvo».
Racconta: «Una volta, nel 2012/2013, l’ho accompagnato dalle parti di Modena per una vicenda che riguardava Paolo Valeri e che abbiamo già trovato lì. Valeri doveva riscuotere un credito per lavori su impianti di biomasse per poter poi pagare Donadio; quindi Donadio parlò con il debitore, il quale rifiutava il pagamento...Al rientro Donadio ha chiamato il Fabozzi e gli ha detto di farsi trovare con Veizzi e ha impartito l’ordine ai due di recarsi la sera stessa vicino Modena e di scannare alcuni esemplari di maiale che il debitore del Valeri allevava. E ciò avvenne...».

La politica di Donadio era quella di pretendere la metà del credito da riscuotere, dato che per il richiedente si trattava di una somma persa. A proposito, Arena aggiunge: «I metodi di Luciano, che non condividevo, prevedevano l’impiego di violenze esagerate: bruciare auto, sparare ad abitazioni, incendiare locali o riempire di botte il debitore. Anche per riscuotere piccole somme».
«A quanto ne so il Donadio godeva di una ampia legittimazione da parte di Cesare Bianco (gruppo Schiavone) che gli aveva dato incarico di rappresentare in loco i clan “casalesi”...
In cambio Donadio doveva riconoscere la metà dei suoi guadagni ai clan di Casal di Principe. Su 100 mila euro di guadagno veniva decurtata la parte spettante a Donadio e a Raffaele Buonanno (suo socio) e sulla differenza metà andava “giù” a Casal di Principe e l’altra metà veniva reinvestita. Non so a chi andassero giù le somme, ma Luciano parlava sempre di “Iovine”, “Zagaria” e di alcuni esponenti dei Bianco oltre che gli Schiavone, soprattutto Francesco». —
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