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Il film sull’assalto al treno Rispondono sei testimoni e anche uno dei banditi

Michela, la zia della ragazza «Ci ha chiamato chi c’era quel 13 dicembre 1990 e un membro della banda che vuole restare anonimo»

Alessandro Abbadir
1 minuto di lettura



«Ci hanno contattato sei testimoni che il 13 dicembre 1990 si trovavano sul treno di Cristina Pavesi. Ci ha anche chiamato un ex membro della banda di Felice Maniero che ha appena finito di scontare la sua pena per scusarsi per le sue azioni che con i complici portarono alla morte di Cristina». A raccontarlo è Michela Pavesi, zia di Cristina Pavesi, la studentessa trevigiana di 22 anni uccisa nell’assalto della mala del Brenta al treno portavalori nel dicembre 1990, dopo l’appello lanciato nei giorni scorsi dalle colonne del nostro giornale. Cristina viaggiava sul treno 2629 Bologna-Venezia, giunto in quegli stessi minuti dalla direzione opposta e arrivato ad affiancare il vagone postale nel momento esatto della deflagrazione. L’appello fatto per trovare testimoni è stato fatto dalla zia insieme alla scrittrice Monica Zornetta e l’associazione Mondo di Carta con la sua presidente Oriana Boldrin, ideatrice del concorso intitolato proprio alla studentessa trevigiana.

«Ci hanno contattato», spiega Michela Pavesi, «sei persone sui 50 che all’epoca erano tutti studenti universitari ventenni che tornavano dall’Università di Padova come Cristina (che era andata per confrontarsi con un docente per la tesi di laurea). Queste persone ci hanno spiegato che ricordano ancora benissimo le urla, lo choc, la paura, il fumo, i pianti, i soccorsi. Sono molto contenti di poter contribuire a realizzare un evento come un film, un docufilm o un libro che faccia luce e spieghi cosa è successo veramente in quel pomeriggio d’inverno». Ma la sorpresa è stata anche un’altra. «Fra i contatti che abbiamo avuto», aggiunge Michela Pavesi, «c’è stato uno che ci ha molto colpito. Ci ha chiamato uno degli autori di quell’assalto, un ex membro della banda Maniero che ha finito di scontare la sua pena in carcere che ci ha espresso le sue scuse e il suo pentimento per quei fatti». Ma il nome resta “top secret” «per tutelare la privacy del figlio in modo che ciò che ha fatto non possa essere associato alla vita del giovane». Oltre a Cristina Pavesi, che rimase uccisa, vi furono altri 13 feriti. «Incontreremo personalmente i testimoni», conclude Michela Pavesi, «nelle prossime settimane e cercheremo di fare un quadro dettagliato il più possibile». —



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