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I soldi della Legge speciale al Marcianum La Corte dei conti ora cita Galan e Chisso

All’ex governatore e al suo storico assessore chiesti 1,3 milioni di euro. L’Università voluta da Scola fu chiusa da Moraglia

Roberta de Rossi
2 minuti di lettura



Ventisei milioni di euro destinati dalla Legge speciale ad opere per il disinquinamento della laguna, dirottati dalla Regione Veneto retta dall’allora presidente Giancarlo Galan sul restauro della sede patriarcale di Venezia, del Seminario e della Basilica della Salute, sostenendo con 24 milioni il progetto dell’allora patriarca Angelo Scola di dare vita al Marcianum, polo didattico-universitario con convitto incluso; altri 2 milioni vennero destinati alla Comunità ebraica di Venezia per la sua casa di riposo.

Fondi illegittimamente sottratti alla loro destinazione, secondo vice procuratore generale della Corte dei Conti Giancarlo Di Maio, che ha citato a giudizio Galan e l’allora assessore ai Lavori pubblici Renato Chisso, presentando loro un conto da 1,274 milioni di euro. Di anni ne sono passati tanti da allora - il Marcianum è nato, cresciuto, chiuso dal successore di Scola, il patriarca Moraglia - e la prescrizione ha così ridotto l’ammontare della cifra contestata, da 26 a poco meno di 1,3 milioni di euro.

Il presidente della Corte Carlo Greco ha messo in calendario l’udienza per il 17 ottobre.

La vicenda salta all’occhio della Procura della Corte dei Conti, perché nel 2015 - a scandalo Mose esploso - facendo un rendiconto delle spese, la giunta Zaia riconosce al Patriarcato lavori per 15,6 milioni, chiedendo però la restituzione di 5,9 milioni già erogati. La Diocesi si oppone, la Regione le fa causa in Tribunale civile. Per tutta risposta, la Diocesi cita palazzo Balbi, chiedendo i 178 mila euro residui.

E si accendono i riflettori della magistratura contabile su quell’operazione che risale ai primi anni 2000, quando Galan era stabilmente al comando del Veneto e del ciclone Tangenti Mose che nel 2014 l’avrebbe travolto con altri, non si sentiva neppure un fremito. Si era molto battuto, l’allora presidente della giuntaregionale, perché fondi di legge speciale destinati al Comune di Venezia e a Comuni della gronda per il rifacimento della rete fognaria, venissero dirottati per il restauro della sede del patriarcato, del Seminario e della Basilica della Salute e, in minima parte, alla Comunità ebraica. Galan si prodiga tra Comitatone e Presidenza del Consiglio dei ministri (Gianni Letta, nell’era di Berlusconi premier ) per stornare i fondi destinati all’acquedotto per l’irrigazione di Cavallino-Treporti, all’impianto di depurazione di Chioggia, alla vasca di prima pioggia alla Gazzera-Mestre, alla rete fognaria di Venezia. Milioni, all’epoca, non ancora spesi dai Comune. Ne avrebbero ricevuti altri in futuro - promise Galan - portando in giunta il cambio di destinazione. Per la Procura della Corte dei Conti, un intervento doppiamente illegittimo: perché quei finanziamenti erano vincolati dalla Legge speciale ad opere di disinquinamento della laguna e perché si trattava di progetti già approvati dal Consiglio regionale e solo il Consiglio (non la giunta) avrebbe potuto modificarne la destinazione. Sempre in ambito disinquinamento, però.

L’indagine contabile ha coinvolto l’intera giunta, ma si è concentrata sull’ex presidente Galan, considerato colui che ha concepito l’operazione e l’ha diretta passo passo, pur sapendo - sostiene l’accusa - non fosse autorizzabile. Come pure l’allora assesore Chisso, in quanto responsabile delle Politiche per l’ambiente: per la Procura, non poteva non sapere.

A firmare la delibera contestata furono anche gli assessori Sante Bressan, Giancarlo Conta, Raffaele Grazia, Raffaele Zanon, Marialuisa Coppola, Ermanno Serrajotto. Hanno tutti risposto alla richiesta di chiarimenti della Procura contabile, sostenendo a vario titolo di aver votato ritenendo di essere nel giusto dal momento che tra gli obiettivi della Legge speciale c’era anche il restauro di immobili con valore monumentale e artistico. Nessuna risposta da Galan e Chisso, oggi citati a giudizio. Nel setaccio della prescrizione, si diceva, di quei 26 milioni iniziali, ne sono rimasto 1,274. La Procura ritiene Galan responsabile per il 60% (764 mila euro) e Chisso al 40% (509 mila euro), ma lascia aperta la strada a una seconda richiesta, ovvero che un 20% sia da mettere in conto anche agli assessori di allora. Parola alla Corte dei Conti.

Per lo scandalo tangenti Mose, Giancarlo Galan è già stato condannato (in Appello) a risarcire 5,2 milioni di euro; Renato Chisso (in primo grado) a 5,3 milioni di euro. —



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