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Un milione e 600 mila metri cubi di fanghi per le nuove barene della laguna di Venezia

Si tratta di rifare una parte scomparsa di laguna, 160 ettari I costi per l’uso dei sedimenti potrebbero arrivare a 50 milioni

Alberto Vitucci
2 minuti di lettura

VENEZIA. Il «Piano Europa» prevede la ricostruzione delle barene andate perdute in laguna nel corso del secolo. I progetti ci sono, i soldi anche. Ma mancano i «fanghi». Situazione paradossale quella del «riequilibrio morfologico». Se ne parla da anni, era la priorità prevista dalle Leggi Speciali, prima di grandi opere e dighe mobili. Adesso si comincia lentamente a fare qualcosa. Ma il blocco rimane.

I primi due progetti approvati dal Provveditorato alle Opere pubbliche e affidati al Consorzio Venezia Nuova prevedono il rifacimento di due aree di barene, per un totale di circa 160 ettari. Sono l’area del canali Cenesa, Boer e Siletto, in laguna Nord ,e quella del canale Bastìa, in laguna Sud. Si tratta di rifare, si legge nel progetto, «11 strutture morfologiche a velma e barena, allo scopo di ricostruire il fondo andato distrutto del margine Ovest Est da Ca’ Zane alla «Punta dei Buranei», verso val Dogà..

Ma per «ricostruire» occorrono i materiali. Servono 1.600 mila metri cubi di fanghi, che in questo momento non ci sono. Almeno quelli utilizzabili secondo il protocollo in vigore del 1993. Il Provveditorato preme perché sia riformato al più presto quell’accordo che risale a 25 anni fa. Ci sono inutilizzati in laguna: 120 mila metri cubi di fanghi scavati dal canale di Treporti e 450 mila derivanti dallo scavo dei canali portuali.

Tutti di «classe B», cioè mediamente inquinati e da trattare, come la quasi totalità dei fanghi presenti in laguna. «Siamo contrari a una revisione in basso dei parametri di inquinamento», ribadiscono gli ambientalisti del comitato Ambiente Venezia. Il timore è che modificando i parametri e dando il via al riutilizzo dei fanghi di tipo B arrivino nuovi scavi di canali. A cominciare da quelli per le grandi navi a Malamocco. «Problemi distinti», secondo gli esperti, Per il Consorzio è anche un problema di costi. Dato per risolto il problema della legalità – con un governo di amministratori straordinari che dura ormai da quattro anni – resta quello dell’operatività.

«Se non possiamo usare quei fanghi, che comunque erano in fondo alla laguna», dicono i tecnici, «li dovremo acquistare». Il costo è di 9,5 euro al metro cubo se recuperati in mare, addirittura 24,65 a metri cubo se estratti nelle cave di terra e trasportati in laguna. In quest’ultimo caso per le barene il costo salirebbe a 40 milioni di euro, solo per il materiale da impiegare. 15 milioni per i fanghi recuperati in mare. A questo si aggiungerebbe il costo per portare comunque in discarica quelli ammonticchiati a Treporti e in laguna (circa 600 mila metri cubi, per 16 euro al metro in discarica. Altri 9 milioni e 600 mila euro. Totale, 50 milioni contro zero. Un movimento di denaro che fa riflettere.

Su cui è al lavoro adesso anche la Procura, con l’ultima indagine avviata dai Noe (carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico) dopo l’esposto presentato sulle «presunte irregolarità» nella movimentazione dei fanghi. Progetti per milioni di euro ora al vaglio degli inquirenti. Resta, irrisolta, la questione dei sedimenti. Sembra una parte marginale della salvaguardia, in realtà è il punto centrale. La costruzione del Mose ha modificato correnti e qualità delle acque. Milioni di sedimenti finiscono in mare ogni anno dalla laguna. Altri vengono «spostati». Nella confusione più totale e senza piani strategici. —

 

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