Mose, le imprese vogliono i danni: 197 milioni di euro per mancati lavori
Covela-Mantovani cita in Tribunale i due commissari Cvn: «Hanno procurato vantaggio allo Stato, i loro atti illegittimi»
Alberto Vitucci
VENEZIA. Se il Mose non funziona e i lavori sono in ritardo, la colpa è dei commissari. In «conflitto di interessi» per aver fatto gli interessi dello Stato e non delle imprese. E dello Stato che non ha garantito i finanziamenti. La tesi è di Covela scarl, società del gruppo Mantovani azionista di maggioranza del Consorzio Venezia Nuova, chiede 197 milioni di danni. I suoi legali, Ruggero Sonino e Patrizia Chiampan, hanno presentato su mandato del presidente Romeo Chiarotto un atto di citazione a Giuseppe Fiengo e Francesco Ossola, dal 2014 amministratori nominati dall’Anac e dal prefetto di Roma per gestire il Consorzio del Mose dopo gli scandali e gli arresti. Il Tribunale civile di Venezia ha fissato la prima udienza per l’11 luglio.
Un atto di guerra che fa seguito a contenziosi che durano da anni dopo il cambio al vertice del Consorzio colpito dall’inchiesta sulle tangenti della Procura veneziana. L’ultimo atto è stata la decisione dei commissari di estromettere le imprese maggiori (Covela-Mantovani, Fincosit e Condotte) dai lavori.
Adesso Mantovani presenta il conto. Con una lunga lista di accuse ai commissari. La prima, quella di non aver rispettato il sistema di affidare i lavori del Mose “pro quota”. Secondo il Covela-Mantovani, all’impresa spetta un quarto dei lavori disponibili, vista la sua quota del 25,44%. Un meccanismo finito al centro dell’inchiesta sulle tangenti, con i lavori per anni affidati - anche in subappalto - senza alcuna gara. Nel corposo atto di citazione si lamenta anche il fatto che le imprese con l’avvio dell’amministrazione straordinaria non hanno avuto più alcun ruolo decisionale. «Lo strumento consultivo», si legge nella memoria, «è strumento del tutto inutile proprio perché meramente consultivo. E i suoi orientamenti non sono mai stati presi in considerazione».
Fra le tante accuse anche quella del «conflitto di interessi, con l’evidente finalità di creare un vantaggio all’amministrazione concedente». Cioè allo Stato. Segue una contestazione puntuale di tutti gli atti firmati dai commissari, in particolare l’avvocato Giuseppe Fiengo. Parole pesanti, che definiscono addirittura «illegittimo» e «illecito» il comportamento degli amministratori nominati dall’Anac proprio per riportare la legalità in un mondo dove fino al 2014 si consumavano sprechi e reati.
«Comportamento colpevole, se non in malafede», le parole usate dagli avvocati dell’impresa di costruzioni. Le richieste sono numerose. Con l’accusa di avere causato «ingiusta penalizzazione economica alle imprese», con la conseguenza che da allora «il Mose è sostanzialmente in stallo». Ancora, si contesta il fatto di avere affidato i lavori a «consorziati che rappresentano il 2,7% del Consorzio e se non a ditte esterne prive delle capacità tecniche ed economiche necessarie».
L’impresa si lamenta anche del mancato adeguamento del prezzo chiuso del Mose, già lievitato negli anni precedenti. «Doveva essere aumentato del 42,64%, lo è stato solo del 15,04») e di non aver avuto soldi per i ritardi e i costi dei cantieri, con l’attività prolungata di 46 mesi. Sempre secondo gli avvocati, lo Stato avrebbe dovuto finanziare il Mose con altri 902 milioni oltre ai 5,6 miliardi già impegnati.
In conclusione, Mantovani chiede i danni e addebita ai commissari («in connivenza con lo Stato») anche «la mancata manutenzione delle opere già fatte, «con interventi che costeranno adesso 100 milioni di euro». Nessun accenno ai lavori «non fatti a regola d’arte», alle contestazioni e alle criticità scoperte e segnalate dai commissari. Adesso, ancora una volta, sul Mose la parola ai giudici. —
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