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Amianto, il Porto perde in Cassazione

MARGHERA. La parola finale sul risarcimento stabilito dal tribunale per gli eredi di un operaio di Porto Marghera morto per mesotelioma l’ha messa la Cassazione con l’ordinanza pubblicata lunedì. I...

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MARGHERA. La parola finale sul risarcimento stabilito dal tribunale per gli eredi di un operaio di Porto Marghera morto per mesotelioma l’ha messa la Cassazione con l’ordinanza pubblicata lunedì. I giudici della Suprema Corte hanno respinto il ricorso presentato dall’Autorità Portuale di Venezia, confermando dunque la somma di 72.500 euro a titolo di risarcimento del danno da invalidità temporanea patita dal lavoratore a causa della malattia professionale contratta per l’esposizione prolungata all’amianto. Il Porto aveva impugnato il pronunciamento della Corte d’Appello, favorevole agli eredi dell’operaio deceduto, datato agosto 2013. La famiglia, con l’avvocato Leonello Azzarini, aveva proposto un controricorso e l’Autorità di sistema portuale del Mar Adriatico settentrionale, nel frattempo subentrata all’Autorità Portuale, aveva depositato una memoria sostenendo il difetto di legittimazione passiva, ovvero la propria estraneità alle contestazioni.

I giudici della sezione civile della Corte di Cassazione hanno valutato come infondati entrambi i motivi sostenuti dal ricorrente. Scrivono i giudici nella sentenza che «A seguito dell’istituzione delle Autorità portuali, che succedono alle preesistenti organizzazioni portuali, il personale già dipendente da dette organizzazioni è trasferito ex lege ai nuovi organismi che, pertanto, devono ritenersi inderogabilmente gli esclusivi titolari dei relativi rapporti di lavoro, a prescindere dalla ricorrenza degli elementi tipici di meccanismi negoziali quali la cessione del contratto e il trasferimento d’azienda».

Di qui la conferma del risarcimento di 72.500 euro per la famiglia dell’operaio morto, che va ad aggiungersi a quanto gli eredi hanno già ricevuto per la perdita del loro caro per un mesotelioma, il tumore che colpisce le persone rimaste a contatto prolungato con le fibre di amianto. Nel corso del procedimento è stato accertato come la patologia potesse essere configurata come malattia professionale: l’operaio aveva lavorato a Porto Marghera negli anni in cui l’utilizzo dei dispositivi per la protezione dell’amianto era praticamente a zero. I lavoratori scaricavano dalle navi i sacchi di juta che spesso si rompevano, facendo fuoriuscire l’amianto. (ru.b.)

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