Smog e materiali corrosi in città è rischio crolli
Piana, docente Iuav: «Purtroppo la sicurezza assoluta è una pura illusione» Poi l’appello ai proprietari degli edifici: segnalate le criticità che riscontrate
di Alberto Vitucci
2 minuti di lettura

Monumenti che vanno in pezzi. L’usura del tempo e le criticità dei materiali antichi, la manutenzione non sempre puntuale della pietra e dei mattoni, i fondi sempre più scarsi a disposizione. Il crollo del pezzo di marmo nella chiesa di Santa Croce a Firenze che ha colpito e ucciso un turista riapre il dibattito sul tema. A Venezia la concentrazione di monumenti antichi non è certo inferiore a quella di Firenze. Pietre che possono avere anche cinque o sei secoli di età. Due casi hanno risollevato l’attenzione su questo aspetto negli ultimi anni. Il crollo di un «barbacan», un sostegno in pietra in Merceria che uccise il gioielliere Carlo Carraro, nel 1992. Il distacco di una pietra di trenta chili dalla facciata del palazzo Ducale verso il Molo, nell’estate del 2007. Allora solo un ferito dalle schegge, un turista tedesco. Inchiesta e sopralluoghi, ispezioni sulle facciate di palazzo Ducale.
Come fare a garantire la sicurezza dei monumenti nelle città d’arte?
«La sicurezza assoluta è una pura illusione», spiega Mario Piana, architetto e docente Iuav, per decenni responsabile tecnico della Soprintendenza veneziana, «si fa quel che si può, si controlla, Ma il rischio esiste sempre».
Chi controlla lo stato di salute dei monumenti?
«La Soprintendenza. Ma il discorso è molto complesso. Nel caso di edifici privati dovrebbero farlo i proprietari, così per gli edifici demaniali».
Un’impalcatura da tirar su ogni volta per controllare?
«Chiaro che è difficile».
I fondi sono troppo pochi per la manutenzione.
«Verissimo. Ma anche una manutenzione capillare sanerebbe alcune emergenze, ma non metterebbe al riparo dal rischio. Ricordiamo che la pietra caduta dal palazzo Ducale era appena stata restaurata da specialisti. È praticamente impossibile ispezionare tutte le pietre della città».
Quanti sono gli edifici antichi da controllare?
«Gli edifici notificati della città sono circa 1.800. E il guaio è che sono di proprietà diverse».
Come si fa allora a intervenire?
«Per le situazioni critiche si deve almeno poter verificare la situazione. Nel caso recente del campanile di San Giorgio ci siamo accorti che erano venuti giù frammenti della foglia in rame dell’angelo. Due-tre centimetri quadrati. Segno di un possibile cedimento. Abbiamo mandato sul campanile la squadra specializzata su corda doppia e hanno verificato. Ma non si può fare sempre».
Venezia ha una situazione particolarmente critica rispetto ad altre realtà?
«Alla precarietà dei materiali antichi si aggiunge l’effetto dell’inquinamento. Le condizioni delle pietre sono aggravate dalle sostanze chimiche che in qualche caso sciolgono i marmi o accelerano i processi di invecchiamento».
A questo si può ovviare con la pulizia dei marmi, oltre che con la riduzione delle sostanze inquinanti?
«Non è solo un problema di pulizia. Le croste nere sulla pietra d’Istria indicano una situazione di degrado. Che può precipitare e provocare microcrolli».
È una questione che riguarda le città d’arte?
«Sì, ma è dovuta all’evoluzione. Alle trasformazioni che avvengono nei secoli nei materiali. Ripeto, a Venezia aggravate dall’inquinamento dell’aria. Ma succede anche per le montagne. Le rocce a un certo punto collassano e crollano. Nelle nostre Dolomiti è successo spesso ultimamente».
Dunque non è possibile fare prevenzione?
«Qualcosa si può fare, e si cerca di farlo al meglio. Restauri dove è possibile, controlli dove si può e i materiali sono in vista. Un appello ai proprietari a segnalare le criticità che dovessero riscontrare. Ma con questo non ridurremo il rischio. La caduta di una pietra dall’alto è sempre possibile. La fatalità può succedere. Non credo che i frati di Santa Croce abbiano in questo responsabilità alcuna».
Come fare a garantire la sicurezza dei monumenti nelle città d’arte?
«La sicurezza assoluta è una pura illusione», spiega Mario Piana, architetto e docente Iuav, per decenni responsabile tecnico della Soprintendenza veneziana, «si fa quel che si può, si controlla, Ma il rischio esiste sempre».
Chi controlla lo stato di salute dei monumenti?
«La Soprintendenza. Ma il discorso è molto complesso. Nel caso di edifici privati dovrebbero farlo i proprietari, così per gli edifici demaniali».
Un’impalcatura da tirar su ogni volta per controllare?
«Chiaro che è difficile».
I fondi sono troppo pochi per la manutenzione.
«Verissimo. Ma anche una manutenzione capillare sanerebbe alcune emergenze, ma non metterebbe al riparo dal rischio. Ricordiamo che la pietra caduta dal palazzo Ducale era appena stata restaurata da specialisti. È praticamente impossibile ispezionare tutte le pietre della città».
Quanti sono gli edifici antichi da controllare?
«Gli edifici notificati della città sono circa 1.800. E il guaio è che sono di proprietà diverse».
Come si fa allora a intervenire?
«Per le situazioni critiche si deve almeno poter verificare la situazione. Nel caso recente del campanile di San Giorgio ci siamo accorti che erano venuti giù frammenti della foglia in rame dell’angelo. Due-tre centimetri quadrati. Segno di un possibile cedimento. Abbiamo mandato sul campanile la squadra specializzata su corda doppia e hanno verificato. Ma non si può fare sempre».
Venezia ha una situazione particolarmente critica rispetto ad altre realtà?
«Alla precarietà dei materiali antichi si aggiunge l’effetto dell’inquinamento. Le condizioni delle pietre sono aggravate dalle sostanze chimiche che in qualche caso sciolgono i marmi o accelerano i processi di invecchiamento».
A questo si può ovviare con la pulizia dei marmi, oltre che con la riduzione delle sostanze inquinanti?
«Non è solo un problema di pulizia. Le croste nere sulla pietra d’Istria indicano una situazione di degrado. Che può precipitare e provocare microcrolli».
È una questione che riguarda le città d’arte?
«Sì, ma è dovuta all’evoluzione. Alle trasformazioni che avvengono nei secoli nei materiali. Ripeto, a Venezia aggravate dall’inquinamento dell’aria. Ma succede anche per le montagne. Le rocce a un certo punto collassano e crollano. Nelle nostre Dolomiti è successo spesso ultimamente».
Dunque non è possibile fare prevenzione?
«Qualcosa si può fare, e si cerca di farlo al meglio. Restauri dove è possibile, controlli dove si può e i materiali sono in vista. Un appello ai proprietari a segnalare le criticità che dovessero riscontrare. Ma con questo non ridurremo il rischio. La caduta di una pietra dall’alto è sempre possibile. La fatalità può succedere. Non credo che i frati di Santa Croce abbiano in questo responsabilità alcuna».
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