Bonifiche fantasma in laguna: "associazione a delinquere"
Una finta emergenza ambientale per spartirsi 100 milioni di euro. Coinvolti Mazzacurati, Thetis e società calabresi
di Luana de Francisco
MARANO LAGUNARE. Tutti davanti al gup del tribunale di Roma, per difendersi dalle accuse di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, oltre che, a vario titolo, falso e abuso d’ufficio.
È stato fissato per il 20 settembre l’inizio dell’udienza preliminare a carico dei venti imputati nell’ambito dell’inchiesta che ipotizza bonifiche “fantasma” nella laguna di Grado e Marano.
Passato dalla Procura di Udine a quella romana per competenza territoriale, il procedimento punta a chiarire se l’emergenza ambientale che permise al Commissario delegato friulano di ricevere circa 100 milioni di euro di contributi dal 2002 al 2012 (quando la struttura fu revocata dall’allora premier Monti), sia stata o meno un clamoroso bluff.
Una messinscena architettata dall’allora direttore generale del ministero dell’Ambiente, Giancarlo Mascazzini, al solo scopo di ottenere e spartirsi fiumi di denaro pubblico.
Soldi di cui il pm Viviana Del Tedesco, prima, e il collega Alberto Galanti, ora, ritengono abbiano beneficiato tutti gli imputati. A cominciare da Mascazzini e dai commissari succedutisi alla guida della struttura: gli allora assessori regionali Paolo Ciani (2002-2006) e Gianfranco Moretton (2006-2009), e l’ex direttore scientifico Arpa, Gianni Menchini (2009-2012), con i rispettivi soggetti attuatori Dario Danese e Giorgio Verri.
Ma anche i legali rappresentanti delle società pagate per opere «inutili o mai realizzate»: Raffaele Greco (coop Nautilus, di Vibo Valentia), che incamerò circa 4 milioni di euro, Guido Zanovello (studio Altieri di Thiene), e Giovanni Mazzacurati (ex presidente del Consorzio Venezia Nuova) e Maria Brotto (Thesis di Venezia), che per progettare e realizzare le casse di colmata a Lignano, Grado e San Giorgio ricevettero 1,3 milioni, Vincenzo Assenza, Fausto Melli, Franco Pasquino e Giorgia Scopece (Sogesid, società in house del ministero, cui si contesta anche la predisposizione di un «faraonico e irrealizzabile» progetto da 230 milioni di euro per la messa in sicurezza di Caffaro).
«Siamo convinti di poter provare lo stato d’inquinamento della laguna – ha detto l’avvocato Luca Ponti, che difende Moretton e Danese –, e quindi anche la necessità di interventi, effettuati in una logica di economicità e di risparmio dei costi».
Gli fa eco l’avvocato Rino Battocletti, che assiste Menchini, ricordando come a suffragare l’esistenza dell’inquinamento siano «numerosi atti di natura amministrativa e plurimi pareri scientifici. Dopo sette anni d’indagine – ha aggiunto –, finalmente ci sarà un giudice terzo a verificare l’impianto accusatorio, che già il gip di Udine, archiviando la posizione di Menchini e altri indagati, aveva giudicato severamente».
Nell’interrogatorio sostenuto più di due anni fa, anche Ciani, difeso da Manlio Contento, aveva escluso di avere ingigantito l’emergenza e dimostrato come sotto la sua gestione, per remunerare i più stretti collaboratori, fosse speso meno dell’1 per cento della somma investita nelle opere di tutela e ripristino ambientale.
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