Giustizia e misericordia, inedito confronto
Il Patriarca e il procuratore aggiunto D’Ippolito protagonisti il 28 ottobre di un dialogo alla Scuola grande di San Rocco

Giustizia e misericordia: due termini apparentemente lontani nell’immediato, comune sentire. La giustizia può essere misericordiosa o dev’essere rigorosamente “altra” dalle umane categorie del sentire? Il codice, la norma sono la sola guida di un magistrato o l’empatia può avere uno spazio nelle decisioni di legge? L’invito di papa Francesco a essere più clementi verso i detenuti come s’incontra con i diritti delle vittime e della società ad essere tutelati?
“Misericordia e giustizia” è il titolo dell’inedito confronto pubblico che il 28 ottobre, nella scuola grande San Rocco, vedrà dialogare tra loro il patriarca Francesco Moraglia e il procuratore aggiunto Adelchi d’Ippolito. Temi alti, che investono il vivere quotidiano e che invitano a non fermarsi all’apparenza.
«Il percorso che abbiamo compiuto, come chiesa in Venezia, in quest’anno giubilare della Misericordia ci ha portato spesso a toccare con mano l’intreccio fra misericordia e giustizia», osserva il patriarca Moraglia, «in un cammino per andare oltre le strette misure degli uomini e comprendere che la misericordia è il nome ultimo della giustizia e che la giustizia - nella Chiesa e nel mondo - è veramente tale solo se non smarrisce se stessa e fa entrare nel suo cammino la realtà umanizzante della misericordia. Nel dialogo del 28 ottobre tenteremo di mettere a fuoco le varie sfumature di questo intreccio, partendo dalle nostre esperienze». Prospettive di partenza diverse per il vescovo e il magistrato: la fede non dovrebbe essere questione avulsa dall’amministrazione della legge? «La misericordia in sé e per sé non appartiene al sistema giustizia, che è amministrato in nome del popolo italiano», osserva il procuratore aggiunto D’Ippolito, «la giustizia ha una soggezione assoluta nei confronti della legge e non posso in alcun modo eludere la legge, ma è sicuro anche che l’azione del magistrato implica una costante e faticosa riflessione che non deve mai trascendere le persone che si trova di fronte: il magistrato deve saper ripercorrere il percorso che ha compiuto un individuo per arrivare a commettere un reato, comprendere le ragioni che lo hanno portato a delinquere».
Sono tempi di incertezza, di tensione, paura, in cui spesso la società chiede più carcere: che margine c’è, oggi, per la misericordia? «Una giustizia equilibrata è al servizio della comunità», conclude il magistrato, «non è giustizia se si piega a favore di una istanza particolare: il magistrato deve operare con una grande libertà interiore e capacità di conservare la sua unica soggezione alla legge».
Su questo tema carico di suggestioni, implicazioni intime e al contempo pubbliche, interviene anche il procuratore aggiunto Carlo Nordio: «Per un giurista il problema è semplice: la giustizia intesa come affermazione della legalità è prioritaria nell’ordine logico; la misericordia intesa come perdono e riduzione o estinzione della pena è una scelta politica, per il reinserimento sociale del condannato. Ma per un cristiano la misericordia è indissolubilmente coniugata alla giustizia: tuttavia anche per la chiesa il perdono non può prescindere dai tradizionali requisiti dell’ammissione di colpa, del pentimento, della penitenza e del fermo proposito di non peccare più. Il giudice vive la perenne tensione tra l’imperativo della legge morale e il vincolo delle norme positive».
Roberta De Rossi
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