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Viaggiare in vaporetto, ovvero sogno di una via di salvezza

Vaporetti in mano ai turisti, i veneziani si sentono “foresti”. La corsia preferenziale pare uno degli ultimi tentativi per arginare lo strapotere di 24 milioni di turisti

Manuela Pivato
2 minuti di lettura

VENEZIA. La guerra è fatta di piccole battaglie, brevi conflitti, a volte solo scaramucce per cose che altrove sarebbero insignificanti ma che sul pelo dell’acqua, in Canal Grande e all’ora di punta, sanno di vita o di morte. Un sedile, una porzione d’aria attraverso il finestrino aperto, uno spazietto vicino alla cabina del pilota, anche in piedi, anche su un piede solo. Ma va bene anche la sottrazione: uno zaino in meno piantato nella schiena, nessuna valigia sugli stinchi, il barcarizzo libero, come se il vaporetto fosse davvero un mezzo pubblico; pubblico nel senso che appartiene a tutto il popolo, comune a tutti, sentito da tutti e fatto per tutti.

A Venezia, invece, non c’è nulla di più privato dei battelli della linea 1 o della linea 2, conquistati anno dopo anno, primavera dopo primavera, estate dopo estate, dai turisti che sono arrivati a quota 24 milioni e che grazie a 24 milioni di corpi e 24 milioni di valigie hanno completato il possesso della città rintuzzando i 56 mila residenti; una pulce contro l’elefante.

Cinquantaseimila residenti ai margini della trincea dell’imbarcadero dove, se un veneziano può, se ha fiato, se ha gambe, se non è di corsa, se non si trascina appresso il carro della spesa o il passeggino, rinuncia a strisciare l’Imob sulla validatrice e se la fa a piedi.

Ma quando non si può fare marameo al carro bestiame che attracca pieno e riparte ancora più pieno, scatta l’ora della mischia e dello spaesamento.

Non c’è nulla più dei vaporetti, a Venezia, che faccia sentire i residenti come “foresti” a casa propria (sul viceversa non azzardiamo) perchè è sui vaporetti che i veneziani perfezionano il senso di estraneità alla propria città. E lì, sui quei pochi metri quadrati galleggianti dove un tempo - non un tempo remoto, ma otto, dieci anni fa - i veneziani si incontravano e se la raccontavano, dove i ragazzi smorosavano, i vecchi si lamentavano e le madri si scambiavano le ricette, che la città è stata spogliata di un piccolo rito quotidiano che va oltre la perdita del mezzo di trasporto; è lo smarrimento della propria identità mobile.

Non c’è luogo in cui il cui veneziano si senta più solo che a bordo di uno straripante battello Actv. Ed è solo sul serio perchè raramente, su oltre trecento passeggeri, gli indigeni raggiungono il dieci per cento, che normalmente è preso dal panico.

Intorno al manipolo di sopravvissuti tutti parlano inglese, e passi per i turisti; ma parlano inglese anche i marinai e i piloti, i bigliettai. Meglio ancora. Parlano prima inglese e poi italiano. Dicono “rail station” prima di dire stazione, annunciano “San Marco square” prima di Piazza San Marco. Invitano ad andare “inside please”, prima di “dentro, prego”.

Dentro tutti, turisti e veneziani, in una bolgia di umori e bagagli, gli uni contro gli altri, sopra gli altri, dentro gli altri. Ma ancora per poco. Ai veneziani, dopo molteplici tentativi falliti da altre giunte, il sindaco Brugnaro offre ora una via di salvezza: una corsia preferenziale che, dal 13 giugno, li farà accedere al vaporetto attraverso un varco autonomo. Nessuno ci crede ma va bene così.

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