La generosità delle banche con i mafiosi
Sospese le attività di un istituto di credito di Mestre. Le mani del gruppo verso il business degli appalti

Se uno di noi va di questi tempi in una banca a chiedere un mutuo, magari offrendo casa sua come garanzia ipotecaria, 9 volte su 10 si sentirà rispondere di no. I beni intestati agli ’ndranghetisti arrestati tra Meolo, Marcon, Mestre e Venezia, invece, erano tutti ipotecati e avevano generato generosi mutui bancari. Miracolo? No.
Il risvolto più importante della brillante operazione compiuta dalla guardia di finanza che ha portato al sequestro di 400 chili di cocaina pura in un capannone a Meolo è che un enorme partita di droga è arrivata dalla Colombia, alla Spagna e poi al Veneto senza passare per la Calabria. Cioè senza ricevere un “sigillo” e precise direttive dalla “casa madre”. È la prima volta che avviene e questo significa che qui è stata impiantata da tempo ed è molto attiva una “locale”, quello che per la ’ndrangheta calabrese è il corrispettivo di una “cosca” per la mafia siciliana. Un gruppo attivo e organizzato così bene da poter ricevere e gestire quasi mezza tonnellata della droga più richiesta. Una “locale” importante al punto che la potentissima famiglia Morabito ha dato il via libera fidandosi dei canali di arrivo, di mantenimento e di distribuzione della droga attivati già da tempo dal gruppo impiantato a Venezia. Ma soprattutto dei canali di reinvestimento degli enormi incassi che una tale quantità di droga garantisce.
E qui veniamo al punto. Il gruppo veneziano, cioè la “locale”, della ’ndrangheta calabrese attiva sotto casa nostra, ha agito per vari anni impiantando attività economiche che sono un classico dei metodi d’infiltrazione mafiosa di un territorio: attivando imprese edilizie, di distribuzione e acquistando società e immobili per la ristorazione e il turismo. Il tutto sempre mantenendo un profilo basso. I responsabili di una locale e i loro familiari devono tutti lavorare, svolgendo le mansioni più umili e non devono mai avere atteggiamenti sopra le righe.
Ma soprattutto devono avviare solidi rapporti economici con le istituzioni del credito che poi, incredibilmente, con questi personaggi si dimostrano molto “accoglienti” al punto che i mutui fioccano con estrema facilità.
Per uno di questi istituti, la filiale di una banca che ha sede a Mestre in Corso del Popolo (per ironia della sorte molto vicino alla sede della guardia di finanza) sono in corso approfonditi accertamenti che hanno portato alla sospensione del direttore e al blocco delle operazioni creditizie. Gli analisti del Servizio centrale investigativo sulla criminalità organizzata (Scico) stanno passando a setaccio operazioni e valutazioni di rischio.
Ma il punto chiave che le indagini cercano di svelare è fino a che punto la “locale” capeggiata da Attilio Vittorio Violi e Santo Morabito era riuscita a infiltrarsi negli appalti pubblici. Perché è questo, più ancora delle droga, il grande affare cui punta la mafia calabrese.
Da tempo le segnalazioni su strani incidenti, con uffici di alcune società misteriosamente bruciati, aspettavano una spiegazione.
Tutto il comportamento tenuto dai personaggi arrestati in questa operazione ricalca quello usato in altre zone, ad esempio Verona, per entrare in piccoli Comuni, dove anche 50 voti portano all’elezione di un consigliere, e da lì poter avere una mano su appalti comunali e poi sovracomunali via via più consistenti. (u.d.)
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