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Valeria colpita e morta dissanguata tra le braccia del fidanzato

Gli accertamenti dell’esame autoptico eseguito all’Angelo e il racconto di Andrea Ravagnani, che si è finto morto, interrogato dai carabinieri: «Un tempo infinito»

Roberta De Rossi Cristina Genesin
2 minuti di lettura
La camera ardente 

VENEZIA. Colpita da un unico proiettile di kalashnikov che le ha devastato parte del bel volto e l’ha fatta morire per dissanguamento. Un colpo che non è stato subito letale: la vita le è volata via lentamente mentre veniva stretta fra le braccia del fidanzato Andrea Ravagnani che, fingendosi morto, tentava di salvare, oltre a se stesso, la sua ragazza. Ecco come è spirata Valeria Solesin nella strage del teatro Bataclan, secondo la ricostruzione emersa durante il lungo esame autoptico eseguito ieri pomeriggio nell’ospedale all’Angelo di Mestre dal professor Massimo Montisci dell’Università di Padova con il responsabile del servizio di Medicina legale mestrina Silvano Zancaner su incarico della procura di Venezia e di Roma.

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Il micidiale proiettile è stato esploso dall’alto verso il basso: l’assassino si trovava su un palco all’interno del teatro e mirava agli spettatori in platea, tra loro Valeria. La ragazza è stata centrata nella parte sinistra del viso, devastato nell’area delle labbra, della mandibola sinistra e del naso. Poi il proiettile è “sceso” verso la spalla ed è uscito attraverso la schiena dopo aver perforato il polmone sinistro. È stata una morte lenta, non istantanea. Valeria è crollata, il fidanzato Andrea l’ha abbracciata e così, stretti l’uno all’altra, i due ragazzi sono rimasti prigionieri nel teatro-mattatoio dove gli jihadisti cercavano i vivi a uno a uno, in mezzo ai corpi finiti a terra, inciampando fra cadaveri e feriti per “il colpo di grazia” riservato a chi fosse eventualmente sopravvissuto. Lei, agonizzante, è rimasta in vita forse un quarto d’ora, forse mezz’ora; lui, cercando di proteggere e salvare fino all’ultima la “sua” fidanzata, si è finto morto. «È stato un tempo interminabile» ha ammesso ieri agli investigatori. Forse addirittura un paio d’ore e oltre, prima del blitz delle teste di cuoio avvenuto intorno alla mezzanotte (l’attacco terroristico era scattato alle 21.49).

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Escluso il “fuoco amico”. Il corpo di Valeria è stato ferito mortalmente solo da quell’unico colpo sparato dalla furia integralista dall’alto verso il basso. L’esame è durato diverse ore e si è concentrato soprattutto sulla ricostruzione tridimensionale delle lesioni attraverso la Tac, specialità di ricerca del professor Montisci: l’autopsia tradizionale era già stata eseguita a Parigi. Il decesso è avvenuto per dissanguamento. Valeria, dunque, è stata tra le prime vittime delle raffiche di mitra sparate dai terroristi che hanno seminato morte nella notte dell’orrore di Parigi, il 13 novembre.

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Lo hanno testimoniato ufficialmente ieri - in un racconto difficile, ma puntuale e concorde - il compagno di Valeria, la sorella Chiara e il fidanzato di lei, Stefano Peretti, interrogati sempre ieri pomeriggio dai carabinieri del comandante provinciale colonnello Occhioni, nell’ambito dell’inchiesta avviata dalla Procura di Venezia e coordinata dal procuratore aggiunto Adelchi D’Ippolito. Un’indagine tesa a ricostruire le circostanze della morte della ricercatrice veneziana, unica vittima italiana degli attentati parigini. La giovane - hanno raccontato ad una voce fidanzato e amici scampati per un soffio alla morte - è caduta a terra non appena si è scatenato l’inferno dentro il teatro, colpita dalle raffiche che hanno raggiunto di striscio a un orecchio il fidanzato. Dalle autorità francesi non è, però, ancora arrivato l’esito dell’autopsia ufficiale effettuata sul corpo di Valeria.

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