Falso avvocato con obbligo di soggiorno
È la richiesta del pm per l’ex praticante di Dolo accusata di truffa ai danni di una trentina di clienti. Aveva lo studio a Mestre
di Giorgio Cecchetti
DOLO. Per la prima volta in Italia una Procura chiede una misura di prevenzione nei confronti di un avvocato o, meglio, di un ex praticante procuratore che è stata anche radiata dall’albo. Domani, infatti, il Tribunale di Venezia discuterà della richiesta avanzata dal pubblico ministero Walter Ignazitto nei confronti di Marzia Moretto, che un tempo esercitava con studio in via San Rocco nel centro di Mestre. L’ultima condanna nei suoi confronti è quella del maggio dello scorso anno, quando il giudice Fabio Moretti la ritenne responsabile di esercizio abusivo della professione e di truffa ai danni di una trentina di suoi clienti ai quali aveva fatto credere di essere avvocato. Il rappresentante della Procura lagunare ha chiesto che il Tribunale obblighi Marzia Moretto al soggiorno obbligato a Dolo, dove risiede, per due anni e mezzo, quindi ha chiesto il sequestro dei suoi beni tra cui tre immobili, uno a Martellago, uno a Mestre e l’ultimo a Dolo. Infine, l’applicazione di tutte le misure della sorveglianza speciale, tra cui quella di non poter uscire per l’intera nottata.
Il 3 maggio 2014 era stata condannata a otto mesi e inoltre a pagare una provvisionale di 60 mila euro a 29 clienti che si erano rivolti a lei credendola un avvocato. Quella non è stata l’unica condanna, ne ha avuto altre sempre per esercizio abusivo della professione forense e proprio perché nè le condanne penali nè la radiazione dall’albo l’hanno fermata, la Procura cerca ora di farlo con le misure della sorveglianza speciale. Il Consiglio nazionale forense, si segnalazione del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Venezia, l’aveva radiata dall’albo dei praticanti avvocati (lei non era ancora avvocato) nel 2001. Ma lei non si era data pervinta e aveva continuato ad esercitare la professione forense, inannellando anche alcune condanne da parte dei giudici monocratici veneziani. Neppure l’ultima condanna, piuttosto pesante anche perché era scattata anche l’accusa di truffa, l’aveva fermata, visto che aveva continuato la sua attività legale.
Sulla vicenda era intervenuta anche la Corte di Cassazione alla quale l'imputata era ricorsa dopo che il Consiglio dell'ordine lagunare aveva rifiutato nel 2001 di iscriverla all'albo degli avvocati per due motivi: la precedente radiazione dall'albo dei praticanti procuratori perché aveva fatto credere ai suoi clienti che era avvocato; l'utilizzazione nella corrispondenza di fogli con l'intestazione «avvocato Marzia Moretto». Ma la Cassazione aveva respinto il suo ricorso sostenendo che era inaffidabile. Stando alle accuse, comunque, lei aveva proseguito facendosi credere avvocato: nel capo d'imputazione del processo del maggio scorso si legge che per far credere di essere abilitata alla professione forense avrebbe appeso all'ingresso del suo studio mestrino di via San Rocco una targa «spendendo il titolo di avvocato, riservato ai professionisti legalmente iscritti all'Albo». I danni che i suoi clienti hanno poi subito sono stati davvero gravi e doppi, visto che le cause seguite dalla Moretto sono state alla fine dichiarate nulle.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
I commenti dei lettori