Fiumi di cocaina in laguna a giudizio Dabalà e 12 complici
Udienza il 22 settembre ma la maggior parte degli imputati ha chiesto il rito abbreviato per ottenere, in caso di condanna, lo sconto di un terzo della pena. Per Menegazzi solo falsa intestazione di beni
di Giorgio Cecchetti
È chiusa l’indagine che ha riportato in carcere il pregiudicato Massimo Dabalà sei mesi fa. Nei giorni scorsi i pubblici ministeri Carlotta Franceschetti e Walter Ignazitto hanno mandato a giudizio con rito immediato tredici imputati, stralciando la posizione del commercialista veneziano Renzo Menegazzi, che non era stato arrestato come gli altri e che deve rispondere di falsa intestazione di beni.
L’udienza per i tredici davanti al Tribunale di Venezia è fissata per il 22 settembre, ma la maggior parte, tra cui Dabalà, ha chiesto il rito abbreviato e, dunque, toccherà ad un giudice dell’udienza preliminare processarli, concedendo loro, in caso di condanna, lo sconto di un terzo sulla pena finale.
A giudizio immediato vanno tredici persone: Mariano Bonato, 56 anni, di Giavera del Montello e Massimo Dabalà, 54 anni, di Campalto, la figlia del primo Maria (24), finita ai domiciliari, la compagna del secondo Chiara Vaccher, 44 anni (ai domiciliari), Davide Luppino, 36 anni, della Giudecca, Jurghen Michieli, 39 anni, di Burano, Leonardo Notarnicola, 38 anni, il marocchino Yousse Chahmi (28), Susanna Nordera, 42 anni, Santo Ciccarelli (39), taxista abusivo residente a Castello, e Mauro Nube (52) di Campalto, Ferruccio Nardo (45) che copriva il mercato di Chioggia, e Claudio Capuzzo di Contarina (Rovigo) di 42 anni, che faceva arrivare la coca fino a Ferrara.
Era stata un'operazione vecchio stile quella portata avanti dai carabinieri veneziani del Nucleo investigativo. Mesi di indagine fatti di pedinamenti, intercettazioni, controlli in elicottero con i visori notturni per seguire gli spostamenti di Dabalà tra le stradine di Campalto che portano in barena, da dove partivano le barche che poi andavano a nascondere le pentole a pressione piene di cocaina, vicino alla bricole. Quando invece si dovevano incontrare, per essere sicuri di non dare nell'occhio, i membri della banda lo facevano sempre nei centri commerciali e accompagnati dalle fidanzate, alcune delle quali secondo gli investigatori, erano parte attiva dell'attività di spaccio in città. Molto prudenti - tanto da liberarsi in un caso dei telefonini per la paura di essere agganciati - non avevano bisogno di tante parole per intendersi. Frasi come «Ci vediamo alle 22» erano più che sufficienti per capire che la droga era arrivata, e poteva passare da una mano all'altra. Una marea di coca e di soldi, con i quali Dabalà, ex gestore della frequentatissima trattoria “Oasi” delle Vignole, è accusato di aver accumulato beni per un milione di euro. A collaborare con gli inquirenti l’ex presidente della Pro Loco del Cavallino, bloccato al confine di Trieste con nove chili e mezzo di cocaina quasi pura, uno dei primi arrestati.
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