Scarcerato l’imprenditore De Martino
Accusato di appartenere alla ’ndrangheta: il Tribunale del Riesame di Catanzaro accoglie il ricorso, ritorno al Lido con il figlio
di Giorgio Cecchetti
L’imprenditore di origine calabrese ma da 20 anni trapiantato al Lido, Saverio De Martino, è stato scarcerato ieri dal Tribunale del Riesame di Catanzaro. Nel pomeriggio di ieri è uscito dal carcere di Bologna e il figlio Antonio è corso fino al capoluogo emiliano per prenderlo e riaccompagnarlo a casa. Era finito in manette il 14 maggio scorso con la pesante accusa di appartenere alla cosca della ’ndrangheta di Lamezia Terme, il paese di cui è originario.
La Procura di Catanzaro gli contesta il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, ma evidentemente il Tribunale del riesame non ha ritenuto sufficienti e gravi gli indizi per tenere in carcere l’anziano imprenditore e lo ha scarcerato, come chiedevano i difensori, gli avvocati Renato Alberini di Venezia e Francesco Gambardella di Lamezia Terme.
Alcuni giorni dopo l’arresto (De Martino era stato tenuto in isolamento e, quindi, senza la possibilità di colloqui con i difensori), l’avvocato Alberini aveva diffuso un comunicato in cui sosteneva che «il quadro indiziario a suo carico è di una fumosità ed inconsistenza che stupisce e sconcerta, soprattutto in considerazione della gravità dell'imputazione e delle sue conseguenze». «Questa è la ragione per cui, unitamente al collega di difesa Gambardella», proseguiva il legale veneziano, «si è deciso di ricorrere al Tribunale del Riesame, confidando che lo stesso annulli l'ordinanza cautelare notificata al De Martino per assoluta mancanza dei gravi indizi di colpevolezza, con conseguente sua immediata scarcerazione». Ma i difensori protestavano anche per la decisione presa dagli inquirenti calabresi che hanno imposto il titolo isolamento per i primi cinque gioni di carcere nei confronti di De Martino: «È bene che si sappia che nel nostro ordinamento esiste ancora una norma di inciviltà, non solo giuridica, che consente al giudice, su richiesta del pubblico ministero, di dilazionare per un tempo non superiore a 5 giorni, l'esercizio del diritto dell'indagato in custodia cautelare di conferire immediatamente col proprio difensore. Norma che è stata applicata nel caso di specie». «Norma», concludeva l'avvocato Alberini, «incivile non solo perché di fatto impedisce all'arrestato di esercitare il proprio sacrosanto diritto di difendersi fin dall'inizio dell'esecuzione della misura, dovendo peraltro affrontare nel medesimo termine di 5 giorni l'interrogatorio di garanzia. Ma anche perché esprime la diffidenza nei confronti dell'avvocato, quasi ad affermare la potenzialità inquinante della difesa».
Saverio Di Martino è accusato di aver avviato iniziative imprenditoriali assieme al figlio Antonio al Lido (sono amministratori o soci di otto srl nel settore immobiliare, edile, commerciale e turistico) investendo denaro del boss della cosca di Lamezia Terme Vincenzino Iannazzo, dandogli una mano a sottrarsi alla sorveglianza speciale sostenendolo durante il suo soggiorno in Irlanda, dando ospitalità al capo della cosca a Venezia quando aveva dovuto allontanarsi dalla Calabria.
In un’intervista al nostro giornale il figlio sosteneva che il padre, al contrario di quello che sostengono i giudici calabresi, è stato una vittima delle cosche della ’ndrangheta, tanto che nel 1995 aveva subito un attentato visto che gli avevano sparato. E proprio a causa di quell’episodio la famiglia De Martino aveva scelto di abbandonare la Calabria e di trasferirsi a Venezia, in particolare nell’isola del Lido, dove hanno velocemente avviato numerose iniziative economiche.
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