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Bonet: «Ai vertici della Lega Nord ho regalato i Rolex d’oro»

Partiti e malaffare: il manager vicino al Carroccio racconta i legami con gli esponenti di primo piano. «Tosi sapeva tutto, Zaia non so»

di Giovanni Cagnassi
2 minuti di lettura

SAN DONÀ. «I fatti di Belsito non mi riguardano, io non sono un politico e non c’entro nulla con le questioni di partito». Stefano Bonet, il manager della Po.la.re. Scarl, coinvolto nelle indagini sui fondi neri della Lega, attende il processo dopo aver affrontato il carcere a San Vittore e gli arresti domiciliari a Meolo. Ammette di aver regalato cinque Rolex ai vertici del Carroccio, tramite il tesoriere Belsito. Erano i Rolex con la ghiera verde, edizione limitata a 6 mila euro l’uno, destinati ai “capi” del partito.

Un piccolo “cadeau” come si usava per aprire un po’ di porte, fa capire. Per lui questo è un momento difficile dopo gli anni d’oro della sua società finita nel vortice delle indagini sui fondi neri del partito di Bossi. Ha avuto tempo per pensare e riflettere, scrivere le sue preziose memorie che un giorno, forse, serviranno a spiegare tante cose su come funzionavano ancora i partiti tra gli anni ’90 e il 2000. Le scuderie di auto scintillanti, la società con 70 dipendenti, ora tutti in cassa integrazione o licenziati, i rapporti con i politici ad alto livello fino al Vaticano, sono ormai un ricordo lontano. «Ho detto tutto ai giudici», precisa con l’aria di chi sa dove fermarsi «ma io mi occupo di ricerca e sviluppo industriale, non certo di politica». Fa un accenno alle inchieste sul caso Siram e gli appalti nella sanità: «Il modello economico studiato per la Siram, interessava anche la politica, visto che si parlava di appalti pubblici per la sanità e in particolare l'area vasta di Treviso».

E qui si blocca, lasciando intendere il resto e gli intrecci che potevano esserci con il mondo politico. Sui rapporti ed equilibri politici della Lega dà solo un accenno: «Tosi sapeva molto, per non dire tutto, e aveva legami forti con Cavaliere, si vedevano spesso. Zaia non so, perché faceva parte di un’altra parrocchia, quella di Gobbo. I Rolex li ho regalati, ho anche finanziato una campagna pubblicitaria per il Pdl sul lago di Garda, che si collegava a Brancher, se è per questo. Cose che si fanno e rientrano nei rapporti tra imprendiatoria e politica».

Sul manager di Meolo era calato il silenzio. Ormai tutti i politici ne hanno preso le distanze e questo di certo non gli ha fatto molto piacere. Chi lo difende sempre a spada tratta è il suo autista, personal trainer e tuttofare, l'ex pluricampione di culturismo Leo Caminotto. Anche lui è indagato, con Bossi e altri leader della Lega coinvolti. Dai suoi 187 cm per 110 chili non si smuove di un millimetro: «Bonet è un manager che mi ha insegnato molto. Se ha prestato a suo tempo dei soldi, lo ha fatto per investire e costruire. I politici seguono la legge del 10%, no? Non abbiamo nulla da nascondere e affronteremo i processi insieme».

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