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Femminicidio, il no di Venezia

Ieri flash mob sulle gradinate della stazione di Santa Lucia, oggi la replica in campo San Geremia

di Vera Mantengoli
2 minuti di lettura

Vengono chiamate sorelle perché quello che hanno subìto è una violenza che riguarda la famiglia di tutti gli esseri umani. La loro morte, provocata dalla furia incontrollabile di un uomo, non trova pace e reclama giustizia. Per dare voce a una ferita che non si chiude, ieri sulle gradinate della Stazione Santa Lucia si è tenuto un flash mob in ricordo di tutte le donne vittime di femminicidio. Quasi duecento persone si sono radunate per dare un segnale che oggi si diffonderà in occasione della «Giornata contro la violenza alle donne». Tutte hanno portato un paio di scarpe da dipingere di rosso, seguendo l’iniziativa di Elina Chauvet per ricordare le donne rapite dalla messicana Ciudad Juarez, conosciuta come «la città che divora le sue figlie». Le scarpe sono state messe sul piazzale davanti alla scalinata a indicare le oltre cento donne uccise in Italia nel 2013.

Il flash mob, diretto dall’assessorato Cittadinanza delle donne e organizzato da «Se non ora quando», Spi Venezia, Cgil e Consulta, ha visto la partecipazione delle storiche veneziane che hanno lottato negli anni Settanta per rivendicare i propri diritti come Gabriella Camozzi e Maria Teresa Sega, ma è mancata purtroppo la presenza delle giovani, aspetto che ha destato molte riflessioni. Tanti turisti si sono fermati, incuriositi.

È mezzogiorno di una mattina piena di sole. Una macchia rossa prende sempre più forma di fronte alla stazione. Le donne arrivano, chi con un paio di scarpe, chi con una sciarpa rossa. Qualcuno ha addosso la spilla della Gioconda in versione maltrattata, dipinta con un occhio nero. L’immagine, scelta dall’Onu come simbolo della giornata, è accompagnata dallo slogan: «Potresti fare a meno del suo sorriso?». L’atmosfera è commovente. Poche persone parlano. A poco a poco le scarpe riempiono il piazzale: da ginnastica, ciabatte, ballerine, stivaletti, infradito, con i tacchi, senza i lacci, alte e basse. Sono scarpe tutte diverse, come le donne che avrebbero potuto indossarle e come quelle vittime di violenza. Una sciarpa rossa lunga 26 metri, fatta dal gruppo Punto Tempo Incrociato, delimita il perimetro del flash mob che ha l’aspetto di un rituale.

«Con le nostre mani», dice la psicoterapeuta Lynn Laniado, «abbiamo voluto cucire una sciarpa avvolgente che ricordi le nostre sorelle e sia segno di una volontà di costruire relazioni più costruttive. Le giovani non comprendono l’importanza delle conquiste di noi mamme, mentre noi sappiamo che non si può abbassare la guardia».

A rotazione le donne presenti spostano le scarpe sui gradini, affiggendo un cartello con il nome della vittima a una parete della stazione. «In genere», aggiunge lo psichiatra Sergio Steffenoni, «chi esercita violenza è stato in famiglia legittimato a farlo, spesso proprio dalle madri. I maschi che picchiano sono spinti dalla paura e da un senso di perdita di potere, per questo sarebbe importante che fosse istituito un centro dove possano recarsi per aiutarli, come avviene a Bolzano». «C’è bisogno di cambiare mentalità», afferma Chiara Ghetti, del Ministero della giustizia, «puntando sull’educazione e istruzione».

Oggi alle 11.30, in campo San Geremia, nuovo flash mob: i partecipanti all’iniziativa saranno ospitati nella sede Rai di palazzo Labia dove ci saranno lettura sul tema a cura dell’associazione Voci di carta.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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