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San Polo, la chiesa come centro umano

Esce il libro dedicato all’edificio religioso che, con il suo campo, è stato (ed è tuttora) uno spazio pubblico vitalissimo

Michele Gottardi
2 minuti di lettura
La chiesa di San Polo: nel medioevo nel campo adiacente si teneva un importante mercato 

VENEZIA. “Chiese di Venezia. Nuove prospettive di ricerca” non è solo una collana diretta da Gianmario Guidarelli. Dietro questo titolo evocatore traspare, forte, un’idea ampia di indagine storiografica che si muove su diversi campi, dall’arte all’architettura, dalla storia sociale a quella urbana.

Dopo i primi cinque volumi, editi dal Marcianum Press, un paio d’anni fa è stato l’editore Viella a prendere in carico la collana, dapprima con “La chiesa di San Giacomo dall’Orio. Una trama millenaria di arte e fede” (pp. 266, € 33) e ora con “La chiesa e la parrocchia di San Polo. Spazio religioso e spazio pubblico” (pp. 420, € 48). Il progetto – sia i convegni preparatori che le pubblicazioni – è sostenuto da Save Venice e gode del patrocinio di Ca’ Foscari, Chorus e della parrocchia dei Frari.

Come ricordano i due curatori Gabriele Matino, storico dell’arte e research fellow di Save Venice, e Dorit Raines, docente a Ca’ Foscari, «chiesa e parrocchia, parrocchia e sestiere, sestiere e città – questi sono stati sempre i punti nodali – umani, urbani e architettonici – dello spazio insulare veneziano e dei suoi abitanti», una sorta di corpo umano in cui il sistema nervoso è dato da calli e canali e i ponti da collegamento tendineo. In quest’ottica San Polo era uno dei centri vitali, con un campo tanto grande dove nel Medio Evo si teneva un importante mercato, di tale rilievo da penalizzare altre zone. Così, nel 1292, venne deciso che il mercato dovesse alternarsi il mercoledì a San Polo, il sabato in Piazza San Marco, «parendo che si dovesse far benefitio alle case che per questo rispetto non si affittavano troppo bene a San Marco».

La dedicazione della chiesa a san Paolo, fondata nell’837, si deve probabilmente ai legami col mondo bizantino dal quale Venezia voleva certo affrancarsi, mai quanto, però, dal patriarcato di Aquileia e dal mondo franco-carolingio.

Alla struttura originaria, del IX secolo, si mise mano nel 1585, per renderla «in più bella et gratiosa forma» - da dieci anni vi erano stati installati anche i teleri di Tintoretto, come l’Ultima cena - mentre a più radicale ristrutturazione la chiesa andò incontro a fine ‘700, conservando tuttavia alcuni elementi tardo-gotici come il colonnato e altre contaminazioni, oggetto complessivo di restauro nel 1998 da parte di Save Venice.

Paradossalmente la caduta della Serenissima, nel 1797, vide un rilancio della chiesa, riedificata tra 1799 e 1804 da David Rossi, e dell’area, diventata “piazza della Rivoluzione” per la presenza di un celebre club giacobino, filofrancese e anti-aristocratico, nel palazzo prospiciente il campo, dove aveva residenza il mercante bolognese Giuseppe Ferratini. Una comunità che all’inizio dell’ ‘800 era così vitale da essere in grado di finanziare la ricostruzione della propria chiesa. Cosa rara ancor oggi.

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