Tra lacrime di gioia e pasta amara
Pianto a dirotto per Legrand, ironia per il deluso McDonagh
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Ancora una volta il film più amato dal pubblico e dalla critica - “Three Billboards Uutside Ebbing, Missouri”, scritto e diretto dal londinese Martin McDonagh - si deve accontentare di un premio minore, quello per la miglior sceneggiatura. Come già successe lo scorso anno a “Jackie” di Pablo Larraìn e, prima ancora, a “Philomena” di Stephen Frears. Riconoscimento meritatissimo per il film di McDonagh che ha proprio nella scrittura il suo punto di forza ma che, forse, si aspettava di portare a casa un premio più prestigioso. Avrà modo di rifarsi. Il successo del film al Festival, infatti, è, probabilmente, solo l’antipasto: “Tre manifesti a Ebbing” (in sala dall’11 gennaio), lungo quel binario preferenziale che ormai unisce Venezia a Hollywood, sembra già lanciato nella corsa agli Oscar, con una storia che scopre scampoli di umanità anche nelle pieghe razziste e rabbiose di un’America in cui le radici dell’odio sono ancora profonde. Una “Suburbicon” meno nera e più malinconica ma non priva di speranza. «Grazie mille» ripete in italiano Martin McDonagh che della sua esperienza al Lido ricorda soprattutto la compagnia di Frances McDormand e Sam Rockwell. «È stato magnifico mangiare pasta e bere Negroni insieme a loro» confessa quasi distaccato. Per un regista che non si scompone, un altro che viene sopraffatto dall’emozione. L’esordiente Xavier Legrand conquista due premi (miglior opera prima e Leone alla regia) con il film “Jusqu’à la garde”, colpo di coda della Mostra. Con la voce rotta dal pianto e le parole strozzate in gola, il regista francese (che recitò, bambino, in “Arrivederci ragazzi” di Louis Malle) riesce solo a sussurrare qualche ringraziamento. «Ma non voglio bruciare le tappe» dice in sala stampa, una volta ripresosi dalla sorpresa «questo premio è un regalo che accetto con umiltà”. Il Leone meno scontato (e più criticato) ma anche quello più sincero ed emozionante. Marco Contino
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